Dominazione, Racconti dei miei faithful

La schiava

Scritto da: Luana
Pubblicato da: Elvira Nazzarri (ricordo ai cari lettori che i racconti sono espressioni di fantasia in prosa)

In apparenza era un sabato mattina come tanti mentre guidavo per recarmi all’appuntamento e ancora non sapevo da li a poche ora per me sarebbe cambiato tutto. Pochi giorni prima la Padrona mi aveva convocato per un incontro nella sua nuova casa appena fuori Milano. “La Residenza” la chiamò, ed io ero molto curioso e onorato di questa convocazione. Nei mesi precedenti mi aveva parlato vagamente di un progetto che aveva in mente e di una grande casa che aveva deciso di acquistare ma non era mai entrata nei particolari.

Quando arrivavi all’indirizzo mi resi conto di perché l’aveva chiamata “La Residenza”. Era una casolare all’interno di un parco circondato da un alto muro di mattoni. La grande cancellata era aperta e quando entrai vidi altre macchine parcheggiate nel grande cortile.

La Padrona mi venne incontro e mi fece cenno di seguirla nell’atrio della casa dove attendevano altre cinque persone, due uomini e tre donne.

Percepii subito un’atmosfera di imbarazzo e tensione, erano tutti in silenzio e abbassarono tutti lo sguardo quando entrai insieme alla Padrona. Intuii fossero altri schiavi convocati per il medesimo motivo. Venimmo tutti fatti accomodare in una stanza e ci venne ordinato di aspettare in silenzio.

Dopo una buona mezz’ora, in cui l’inquietudine e l’imbarazzo si condensarono quasi in forma solida, la Padrona fece ritorno e spiegò a tutti il suo grande progetto. Ci veniva offerta la possibilità di vivere la schiavitù nel suo senso più profondo. Non più quindi una sottomissione che conviveva e veniva a patti con la vita, il lavoro, gli affetti e gli impegni di ognuno di noi, ma una vera e propria vita dedicata volontariamente alla Padrona. Questo voleva dire rinunciare a tutto tranne al lavoro che avremmo continuato a svolgere per sostenerla nei suoi agi. Ognuno di noi avrebbe avuto dei compiti da svolgere.

Avremmo avuto due giorni per chiudere con la nostra vita precedente e poi avremmo vissuto solo come suoi schiavi.

Poi mise in scena il rituale di passaggio prevedeva che ognuno di noi leggesse una parte del contratto che avremmo dovuto accettare e firmare.

Quando venne il mio turno la Padrona mi disse di leggere solo il paragrafo .b4 che era presente solo sulla mia copia. In quanto schiavo con la maggiore anzianità di servizio mi era stata riservata la parte più dura.

Accetto che il mio ruolo sarà quello di sguattera tutto fare della Residenza. Dovrò svolgere tutte le pulizie anche delle stalle degli animali e delle celle degli altri schiavi. A differenza degli altri schiavi non mi saranno mai concessi indumenti e sarò sempre nudo in ogni situazione o clima. Unica eccezione quando svolgerò servizi al di fuori della Residenza.

Accetto inoltre che mi verrà imposta sempre la gabbia di castità e sarò costantemente pluggato analmente. Sono conscio e accetto inoltre di assumere il ruolo più basso della Residenza e quindi potrò essere sottomesso dagli altri schiavi, ai quali dovrò sempre rivolgermi usando la forma del pronome allocutivo del lei, secondo i dettami della Padrona.

L’imbarazzo che provai nel leggere questa sezione del contratto in presenza di tutti fu qualcosa che non riesco a descrivere a parole.

Venne poi il momento della firma e ognuno di noi ricevette il nome scelto dalla Padrona. Per me fu scelto “Schiava”, immagino per farmi capire che la mia sessualità di maschio sarebbe stata definitivamente repressa e per fare in modo che anche quando venivo chiamato dagli altri schiavi il mio status fosse continuamente ribadito.

I due giorni successivi furono i più difficili della mia vita. Avrei dovuto rinunciare a tutto, amicizie, affetti, passioni, oppure rinunciare alla donna che adoravo con tutto me stesso e a un lato così profondo del mio essere. Passai due notti praticamente insonne e poi presi la decisione che avrebbe segnato per sempre il resto della mia vita. Comunicai alla Padrona che accettavo e ricevetti le istruzioni per tagliare i ponti con la mia vita precedente. Dissi a mia moglie che avevo una relazione che volevo separarmi e ai miei genitori che per lavoro mi sarei dovuto trasferire all’estero. Nei termini del contratto venivano concessi 5 giorni l’anno che avrei potuto utilizzare per non sparire completamente con i contatti più stretti più quattro telefonate al mese.

Il successivo martedì mattina mi presentai come pattuito all’ora stabilita, fummo messi tutti in fila, poi uno ad uno dovemmo consegnare alla Padrona i nostri cellulari e ne ricevemmo uno ad uso esclusivamente lavorativo. Venimmo fatti spogliare e poi gli altri schiavi ricevettero gli abiti scelti dalla Padrona e che dovettero indossare. A me venne consegnata una gabbia di castità, un plug e un collare elettrico da addestramento per cani. Come istruzione generale mi fu detto di utilizzare la gabbia ogni notte, mentre il collare da addestramento lo avrei dovuto portare legato intorno ai genitali durante la giornata lavorativa.

Uno degli obiettivi della mia nudità costante era anche l’imbarazzo dell’eccitazione sessuale manifesta provocata dalla mia condizione di sottomesso e che la gabbia avrebbe aiutato a nascondere. Per questo motivo era stata imposta solo di notte.

Il collare elettrico invece dava modo alla Padrona di potermi controllare schiacciando semplicemente un tasto del telecomando. Aveva tre funzioni: richiamo acustico, vibrazione o scarica elettrica e appena avvertivo il richiamo dovevo abbandonare qualsiasi cosa stessi facendo e precipitarmi alla Padrona.

La mia routine giornaliera prevedeva sveglia alle 5.00 per la pulizia delle stalle degli animali. Alle 6.30 venivo raggiunto da uno degli altri schiavi che a turno provvedevano a lavarmi all’aperto con canna da giardino.

Alle 7.00 dovevo servire al tavolo la colazione agli altri schiavi prima che prendessero servizio delle loro mansioni. Se avanzava qualcosa potevo fare anch’io colazione altrimenti avrei solo pranzato e cenato.

Alle 8.00 dovevo pulire e sistemare le camere degli altri schiavi anche quando era presenti per lavorare. Le celle, tutte arredate in stile spartano, erano composte da una piccola camera con letto singolo, un bagno e una stanza/studio dove si poteva lavorare.

La mia cella invece, a differenza delle altre, era un open space, senza una porta di entrata ma delle sbarre che non permettevano di godere di nessuna privacy. Anche i servizi igienici erano a vista così da non permettermi nessun genere di intimità qualora passasse qualcuno nel corridoio. Inoltre solo nella mia cella c’era una catena fissata solidamente al muro accanto al letto. Ogni sera quando mi coricavo la catena veniva fissata con un lucchetto alla gabbia di castità.

Finito con le pulizie delle camere dovevo attendere che la Padrona mi chiamasse tramite un segnale sonoro emesso dal collare di addestramento legato ai genitali. Quindi mi recavo nello stabile dove alloggiava la Padrona per ricevere le disposizioni di giornata.

Potevano essere altre pulizie delle stanze della Padrona, piccoli interventi di manutenzione domestica, accompagnare la Padrona come autista oppure venire usato quando la Padrona si intratteneva usando sessualmente a piacimento i suoi schiavi. Normalmente venivo usato come cagna passiva e sfondato con svariati oggetti o dai cazzi degli altri due schiavi. Diversamente dagli altri non mi era mai concesso di venire e a fine seduta dovevo ripulire con la lingua gli organi sessuali degli altri schiavi.

L’unico modo con cui mi era concesso di sborrare era tramite mungitura pubblica che avveniva una volta al mese. Venivo fatto mettere alla pecorina sulla scrivania dell’aula in presenza di tutti gli altri schiavi. Quindi la Padrona, dopo aver indossato i guanti, mi sfondava con una mano un dito dopo l’altro fino ad infilare l’intera mano. Poi mi afferrava l’asta del pene e mi masturbava fino a svuotarmi completamente in una ciotola di vetro. Normalmente poi dovevo bere il contenuto della citotola e ripulirla alla perfezione, anche se talvolta capitava che toccasse a uno degli altri schiavi come forma di punizione per qualche mancanza.

La mia giornata proseguiva poi alle 12,30 quando dovevo servire il pranzo alla mensa degli schiavi. Quando finivano tutti gli avanzi venivano mischiati in una ciotola e io dovevo cibarmi a terra con quell’orrendo miscuglio che era a tutti gli effetti ciò che normalmente si può trovare nel sacco dell’umido.

Poi dovevo lavare i piatti. Il pomeriggio invece lo passavo svolgendo la mia normale attività lavorativa e per la quale tutti i compensi venivano trasferiti sul conto della Padrona.

Alle 19,30 si consumava la cena dove svolgevo gli stessi compiti del pranzo.

Un giorno mentre mi trovavo nella stanza di Luna, una delle schiave, per le pulizie quotidiane mi sentii afferrare per i capelli per venire trascinato in bagno mentre mi urlava: «Schiava, ma come cazzo pulisci? Gli vedi quegli schizzi sul pavimento?» e intanto mi schiacciava la faccia contro il pavimento. «Ora pulisci tutto con la lingua!» e nel frattempo mi riempì il culo di ceffoni.

In quel momento entrò Dasa che da qualche tempo intratteneva una relazione con Luna. Lei gli disse che voleva punirmi e una volta trascinatomi nello studio mi ordinò di mettermi supino sulla scrivania e di allargare le gambe. Quindi mi sfilò il plug che dovevo tenere sempre è ordinò a Dasa: «Ora voglio che ti scopi la schiava!». Lui eseguì, mi allargò le gambe con le mani e poi iniziò a stantuffare. Lei allora presa bene dalla scena si tolse pantaloni e mutandine e mi montò sulla faccia ordinandomi di leccarla e contemporaneamente si mise a limonare con Dasa. In quel momento sentii il guinzaglio di addestramento legato ai genitali che vibrava. Era il richiamo della Padrona.

Poi Luna mi prese in mano il cazzo e iniziò a masturbarmi mentre si strusciava con sempre più forza sulla mia lingua finché venne inondandomi la faccia dei suoi umori vaginali. Nello stesso momento Dasa eccitato dalla visione d’insieme mi sborrò dentro. Luna continuò a masturbarmi e visto che erano passate già tre settimane dall’ultima mungitura venni quasi subito. Il guinzaglio vibrò una seconda volta e questa volta più forte di prima, era il segnale che la Padrona si stava innervosendo del fatto che non mi fossi già presentato.

Dissi ai miei superiori che la Padrona mi stava chiamando e chiesi il permesso di lasciare la stanza. Tutto trafelato attraversai il cortile che separava la depandance degli schiavi dalla tenuta della Padrona e poco prima che varcassi la soglia una scarica elettrica mi si strinse attorno ai genitali facendomi cadere per terra a contorcermi per il dolore.

Appena terminata la scarica elettrica mi rialzai e corsi sul per le scale fino ad arrivare davanti alla porta che portava agli alloggi della Padrona.

Bussai e mentre attendevo risposta mi resi conto che avevo la faccia ancora bagnata dagli umori della fica di Luna. Cercai di asciugarmi con il braccio. La porta si spalancò. «Dov’eri schiava?». «S-stavo pulendo gli alloggi degli schiavi Padrona» balbettai. «E allora? Quando ti chiamo devi correre, perché ti ho dovuto chiamare tre volte? Mettiti in ginocchio che adesso di becchi un po’ di frustate!». In quel momento si accorse che non avevo il plug che preso dalla fretta avevo completamente dimenticato. Allora con le mani mi allargò le natiche e il buco del culo e un rivolo di sperma colò sul pavimento.

«Ah, e questo?». Insospettita mi infilò due dita nell’ano aprendomelo scoprendo che ero pieno di sborra. «Ma se proprio una cagna» disse stizzita «Ora voglio sapere chi è stato, e perché il cazzo non è duro come ogni volta che mi vedi e puzzi di fica?» domandò sempre più alterata?

Terrorizzato cercai di spiegare a raccontai quanto appena accaduto.

Vennero convocati anche Dasa e Luna per ascoltare la loro versione dei fatti. Ovviamente cercarono di portare la ragione dalla loro parte dicendo che ero stato io a prendere l’iniziativa e che mi ero comportato come cagna in calore.

Venimmo congedati dalla Padrona che ci disse di presentarci entro un ora nell’aula e di convocare anche gli altri schiavi.

Un’ora dopo eravamo tutti presenti nell’aula, la Padrona seduta alla cattedra e io di fianco a lei fatto mettere in posizione esponi con le gambe divaricate e le mani dietro la nuca in attesa della sentenza.

«Ho ponderato attentamente l’increscioso episodio di stamani e sono giunta alla conclusione che la gravità dell’accaduto dovrà essere redarguito con il massimo della severità perché sia da monito per tutti.

Quindi condanno la schiava per aver infranto l’obbligo di castità a due mesi di gabbia di castità ininterrotta e senza alcuna mungitura. Alla schiava verrà applicata una gabbia di misura “s”.

La schiava viene condannata anche per l’indecoroso comportamento da cagna e verrà impalata pubblicamente per 12 ore nel piazzale antistante la Residenza con un palo di diametro 6cm, vista la sua lussuria nel farsi sborrare in culo come una troia sottomessa».

Vidi Luna e Dasa scambiarsi un’occhiata complice e un sorrisetto compiaciuto nei miei confronti.

Da un cassetto della scrivania la Padrona prese una gabbia di castità in acciaio con la parte riservata al pene che aveva una profondità di massimo 5cm e me la applicò sui genitali premendo con forza e poi facendo scattare un solido lucchetto. Già con il pene completamente a riposo ci stava compresso. Non osavo immaginare cosa sarebbe successo alla minima erezione.

Poi a due schiave fu ordinato di portarmi fuori e infliggermi la pena dell’impalamento. Mi vennero incatenati i polsi dietro la schiena, poi mi misero due rialzi sotto i talloni. Quindi posizionarono la pedana da impalamento infilandomi la prima parte del grosso fallo nel culo e poi tolsero i due sostegni per i talloni. Poco dopo cedendomi i talloni per lo sforzo ero completamente penetrato e impossibilitato a muovermi. A completamento dell’opera venne posizionata una trave di legno alla quale era montato un fallo di gomma all’altezza del mio viso. Il fallo mi venne messo in bocca e poi per fare in modo che non lo potessi sfilare mi fecero pasare una cinghia dietro il collo e poi la fissarono ai del lati della trave in prossimità del fallo.

Finito di legarmi uscirono tutti nel piazzale poi la Padrona ordinò ai suoi servi di scrivermi un epiteto volgare sul corpo. Mi scrissero troia, cagna, puttana sottomessa, vacca, sgualdrina e culo sfondato.

Erano le 11 del mattino e sarei dovuto rimanere li fino a notte.

Ero esattamente al centro del piazzale esposto agli sguardi e ai commenti di chiunque passasse di li.

Poco dopo passò di li Luna che si avvicinò con un sorrisino soddisfatto. Poi mi strizzò un capezzolo e avvicinandosi con le labbra al mio orecchio mi sussurrò: «Vedi che succede a comportarsi da cagna, schiava?».

Dopo qualche ora di supplizio vidi movimento nel piazzale e tutti gli schiavi si affrettavano con passo veloce verso la residenza.

La Padrona aveva guardato le telecamere a circuito chiuso installate all’interno di ogni cella e così aveva potuto verificare come si erano svolti i fatti. Dopo qualche minuto Luna e Dasa furono trascinati all’esterno a forza. Erano stati fatti mettere nudi e sul corpo mostravano in segni di alcune scudisciate.

Di fronte a me gli altri schiavi posizionarono un grosso tavolo di legno, poi presero Dasa e lo fecero sdraiare supino. Gli misero dei ceppi ai polsi e alle caviglie che poi furono assicurati con delle catene al tavolo. Quindi venne il turno di Luna che venne fatta posizionare su Dasa a gattoni al contrario, così da creare una perfetta posizione 69. Dopo aver fissato anche le sue caviglie e i polsi al tavolone con mezzi ceppi di ferro che furono fissati con viti direttamente nel legno del tavolo, strinsero due cinghie alla fronte dei due fornicatori alle quali erano collegati due ganci anali di acciaio. I ganci vennero quindi inseriti nei due rispettivi ani e poi messi in tensione mediante un tensionatore, così che Luna avesse in bocca il cazzo di Dasa e Dasa la fica di Luna a contatto con la bocca.

Anche per loro la pena inflitta sarebbe stata di 12 ore.

Dovevamo essere un bello spettacolo, puniti per lussuria non autorizzata, per chiunque passasse di li. Poi dopo altre ore di sofferenza vidi una scena che mi procurò non poca soddisfazione nonostante non me la passassi proprio bene. Luna con la vescica piena si liberò nella bocca di Dasa.