scritto da: Dasa
Pubblicato da: Elvira Nazzarri (ricordo ai cari lettori che i racconti sono espressioni di fantasia in prosa)
Entrai nello studio sicuro che l’avrei vista, come di consueto, seduta sulla scrivania sulla sinistra della sala d’ingresso ma non la vidi. Sentii la sua voce, altera come e più del solito, provenire dall’altra stanza: spogliati e fatti trovare con le mani appoggiate alla scrivania e le gambe divaricate spalle all’ingresso. Non è facile disobbedirLe, è una donna molto carismatica e autoritaria ma, in alcune circostanze, è assolutamente impensabile il solo tardare a eseguire minuziosamente le Sue disposizioni. Dal tono della voce capii immediatamente che, in effetti, era una di quelle circostanze. Non dovetti attendere a lungo in quella posizione, a suo modo umiliante. Sentii il rumore dei tacchi sul pavimento ritmare il Suo incedere sensuale e maestoso. Potevo immaginarLa ma non vederLa. Le unghie affilate segnarono la mia schiena in tutta la lunghezza, procurandomi un piacevole brivido. Bene schiavo, sai che mi piace quando ubbidisci, mi disse appoggiando il Suo pube contro il mio culo, quasi a farmi presagire quello che mi attendeva e che sapevo avrebbe fatto come di consueto. Come prima cosa, come sempre, mi mise il collare, per me il momento più bello, il simbolo stesso dell’appartenenza. Quindi mi accarezzò i capezzoli per eccitarmi e sentii la benda coprirmi gli occhi. Era delicatamente impregnata del Suo profumo. Uno di quei piccoli dettagli che la rendono speciale. In ginocchio, fu l’ordine perentorio. Scivolai verso il basso, sempre appoggiato alla scrivania e la sentii indagarmi con le Sue splendide mani. Le sentivo sul petto, segnavano la mia pelle con le unghie affilate mentre il ginocchio premeva contro il mio ano. Mi stimolò i capezzoli per causarmi una vigorosa erezione che stabilizzò con una cintura di cuoio intorno al pene, ben fissata intorno allo scroto. Ansimante e desideroso di dominio, accennai un asfittico Oh Padrona. Sì? Mi rispose con voce suadente e ironica mentre le dita strinsero con vigore i miei capezzoli ormai pronti a tutto pur di compiacerLa. Ero eccitatissimo e, come sempre, completamente in Suo potere. Era per quello che da tanti anni ormai La servivo fedelmente, privo di una vita sessuale che non fosse l’autoerotismo che mi concedeva fra una tortura e l’altra. Negli anni eravamo passati da una delicata forma di controllo feticista a soluzioni più marcatamente indirizzate verso la tortura e la sofferenza. Le piaceva farmi provare dolore e, malgrado non fosse la mia passione, mi ero piegato docilmente a quella scelta che mi aveva procurato dei piaceri che non avrei immaginato, anche se accompagnati a prove a volte dolorosissime.
Mi ordinò di seguirLa nell’altra stanza, trascinandomi con il guinzaglio, che nel frattempo aveva agganciato al collare, e mi fece mettere a quattro zampe. Fu in quel momento che mi concesse il più grande dei piaceri, il Suo piede, inguainato in calze elastiche il cui solo fruscio era in grado di eccitarmi. Sentivo l’odore dei Suoi piedi, acuito dalle calze nel calore del pieno giugno e assaporai avidamente il piede scalzo. Basta così schiavo, la Sua voce ora potente e inappellabile. Il cuore batteva a mille, il fiato rotto dall’emozione, capivo che stavamo passando a una fase diversa. Mi mise delle polsiere che agganciò a una barra che non vedevo ma sentivo, poiché non potevo più spostare le mani per cercare una posizione più confortevole. Poi fu dietro di me. Sentii il rumore del lattice dei guanti e capii che mi avrebbe presto penetrato. Mentre mi ungeva e dilatava mi chiese: sai cos’è un gancio anale schiavo? No Padrona. Non ne avevo mai sentito parlare. È un gancio che si infila nel culo degli schiavi con una picca di acciaio come un normale plug e all’estremità opposta un gancio dove farò passare una corda che appenderò a un supporto in alto. Niente di strano, aggiunse. Sentii il freddo acciaio entrare nel mio culo e provai il solito doloroso fastidio e la sensazione irresistibile che sempre mi dava il sapermi penetrato dalla mia Dea. Poi sentii le corde e il gancio tirare. Fu terribile. Capii immediatamente che non c’era verso di muoversi. Bene schiavo, possiamo cominciare, mi disse. Non capii bene cosa stava per cominciare ma ero Suo, L’adoravo ed ero pronto a tutto pur di compiacerLa.
La sentii armeggiare con qualcosa poi il rumore di una sedia e avvertii la Sua presenza molto vicina. Forse uno sgabello o non so cosa, fatto sta che mi ritrovai con la faccia fra le Sue cosce potenti, morbide e tornite. Il rumore delle calze sul mio viso sarebbe stato da solo sufficiente a fare di me un automa privo di volontà in più sentivo l’odore del Suo sesso vicino e irraggiungibile, Come sempre, l’ebrezza del potere e il pensiero di infliggermi torture l’aveva eccitata. Mi stimolò ancora i capezzoli mentre mi sussurrava nelle orecchie quello che già avevo capito: ti conviene accettare qualunque cosa faccia, passivo e rassegnato, non è il caso che ti muova molto, fa male. Era la consolatrice e la carnefice. Le baciai l’interno delle cosce che strinse forte intorno al mio viso mentre mi agganciò prima un capezzolo poi l’altro con delle mollette cui aveva aggiunto dei pesi. Direi anche piuttosto grossi. I miei capezzoli pendevano verso il basso in un misto di dolore e residuo piacere. Si sollevò, sentii ancora il rumore delle Sue calze e poi, senza dire una sola parola, mi infilò le Sue mutande madide di umori in bocca. Gemevo come un agnello prima di essere sgozzato. Ero eccitato come mai e attendevo il seguito che venne, impietoso e doloroso sotto forma di un sibilo che terminò in una sferzata violenta sulla schiena che mi scosse. È impossibile restare immobili sotto i colpi della bullwhip, la lunga corda di cuoio che lascia segni profodni e causa un dolore lancinante. Soprattutto se si è bendati e non si può sapere con esattezza il momento in cui il colpo sarà sferrato. Ad ogni colpo il dolore tremendo della frusta si univa alla sensazione di lacerazione che il gancio procurava e quello dell’ondeggiare doloroso dei pesi. Continuò per un tempo che mi parve infinito. Alternando frustate a pause in cui, con la Sua ben nota maestria, riusciva nuovamente a eccitarmi e farmi desiderare la tremenda punizione che mi stava comminando.
Alla fine del trattamento ero esausto. Mi tolse il gancio, i pesi e le polsiere. Solo le mutande volle che le tenessi ancora in bocca. Mi ordinò di alzarmi e mi portò davanti allo specchio. Era di fianco a me e finalmente potevo vederla. Indossava uno scamiciato di seta bianco con due lembi che si incrociavano sul grembo. Uno dei due lembi era abbassato e vedevo il suo irresistibile seno nella sua minuta perfezione. Il capezzolo turgido di un’eccitazione incontenibile causata dall’ebrezza del potere. Una gonna nera corta con uno spacco a tre quarti, proprio davanti la coscia imperiosa e dei grandi bottoni neri decorativi. Sotto, come avevo intuito, le autoreggenti elasticizzate e le solite decollétée nere. Era bellissima, come sempre e di più. Mi fece girare perché potessi guardarmi la schiena e il culo. Ero livido, toni dal rosso al violaceo per tutto il corpo. Per qualche settimana nessuno avrebbe dovuto vedermi. I colpi avevano lasciato dei segni che sarebbero rimasti a lungo. Non resistetti al desiderio di gettarmi ai Suoi piedi, grato e piangente. Nulla rende uno schiavo docile e sottomesso come i marchi della Padrona sul corpo. La memoria dei momenti passati nelle Sue segrete e l’impossibilità di incontri intimi col corpo così segnato da un potere superiore. Una risata di piena soddisfazione Le illuminò il viso. Ero di nuovo eccitato. Mi appoggiò il piede sul pene, spingendolo per sentirne la resistenza, poi lo spostò più in basso, alla base del pene sopra lo scroto e mi ordinò di masturbarmi, strinse forte i capezzoli e mi ordinò di guardarLa. Era bellissima, il Suo piede diventava sempre più pesante sul mio sesso. Mi arresi, schizzando stancamente e appoggiai la testa esausto sul Suo seno, scivolando lentamente in basso fino a distendermi completamente ai Suoi piedi che baciai in un ultimo flebile impeto di adorazione. Semi accartocciato ai piedi della mia Sovrana, il viso appoggiato al pavimento, godetti della leggera pressione del Suo piede sulla mia testa. Mi dominava e non c’era altra cosa al mondo che desiderassi. Ero Suo e quanto mi bastava.