Scritto da: dasa
Pubblicato da: Elvira Nazzari
(ricordo a tutti che i racconti sono narrazioni in prosa di contenuto fantastico)
Da qualche mese ormai mi aveva completamente privato della libertà. Su Sua disposizione, ci eravamo entrambi trasferiti in un nuovo quartiere, lontano dal mio. Voleva che perdessi contatto con tutta la mia vita precedente: abitare in un luogo dove non avessi alcuna familiarità, mi aveva impedito di avere contatti con i vecchi amici e mi concedeva visite familiari solo in occasione delle festività natalizia. Nel palazzo di nuova costruzione, si era sistemata in un appartamento che Le avevo acquistato mentre io vivevo in un bilocale adiacente al Suo. Avevo anche le chiavi del Suo appartamento che potevo usare solo in caso di emergenza, altrimenti, ogni volta che ricevevo un messaggio dovevo abbandonare qualsiasi cosa stessi facendo e suonare alla Sua porta. Mi mandava messaggi sullo smartwatch il cui numero aveva solo Lei. Avevo anche un altro per comunicare con il resto del mondo ma rigorosamente senza whatsapp. Insomma mi aveva fatto diventare uno schiavo esattamente come aveva descritto nel contratto che mi aveva fatto firmare anni prima. All’inizio era stato un gioco erotico divertente e applicato solo sporadicamente in alcuni passaggi, oltre agli imperativi assoluti che in realtà pretendeva rispettassi anche prima della firma. Col tempo però aveva cominciato, casualmente o sotto forma di suggerimento di praticità, ad applicare più regole. Quando mi accorsi che di fatto stava applicando il contratto alla lettera, incluso il controllo continuo da parte sua della mia posizione, che poteva richiedermi in ogni momento, era ormai troppo tardi. Non ero più in grado di sottrarmi e il Suo controllo sulla mia vita era diventato totale. Non potevo più ribellarmi. Per ovvie ragioni, in un rapporto di sottomissione, si stabiliscono dei limiti, esplicitamente o con brevi segnali che si mandano da una parte o l’altra. In alcuni casi mi sottolineava, magari in un momento in cui mi trovava più vulnerabile, che si aspettava di più o da parte mia qualche timida disobbedienza a segnalare un limite ancora invalicabile. È normale: dichiarare farò tutto quello che vuoi o non avere limiti, in un contesto di femdom professionistico, sarebbe stato eccitante da dire in sessione, poco credibile nella normalità della vita di ogni giorno. Mistress Elvira ne era ben consapevole e non aveva mai forzato la mano su aspetti per i quali non mi percepiva pronto. Tuttavia, certa che il mio corpo e il mio spirito Le appartenevano, una consapevolezza che ebbe molto prima di me stesso, assecondò le mie esigenze di libertà per limitarle progressivamente, fino al punto di non ritorno.
Il punto di non ritorno fu un pomeriggio in cui mi avvisò che sarebbe venuta a cena da me. Mi inventai un improvviso disturbo fisico per rinviare la cena con partita con gli amici e preparai la cena per Lei. Era sabato sera e, contrariamente ad altre circostanze simili in cui si era poi fatta riaccompagnare a casa, mi informò che sarebbe rimasta a dormire da me. Nessun contatto, nessuna pratica, solo asservimento totale e incondizionato. Mi sfrattò dalla camera, impossessandosene e relegandomi al divano letto nell’altra stanza. L’ unica concezione al BDSM, nelle quindici ore in cui restò a casa mia, fu l’onore di essere utilizzato come gabinetto al mattino. Non fu facile. Mistress Elvira si sveglia molto presto al mattino, ancor prima di me che sono già mattiniero. Venne semplicemente nella mia camera e alzò le tapparelle. Con gli occhi accecati dalla luce vidi il Suo corpo meraviglioso abbassarsi su di me per un attimo, giusto il tempo di farmi desiderare qualsiasi cosa. Poi mi bendò, mi ordino di aprire la bocca e sentii la Sua urina, sapida come sempre al mattino, sgorgare nella mia bocca. Mi concesse di liberarmi a mia volta e mi assegnò compiti precisi da cagnolino di compagnia. PrepararLe il bagno, insaponarLe la schiena, asciugarLa, preparare la colazione, giacere come poggiapiedi mentre leggeva le notizie del giorno e restare a disposizione per un’ordinaria pigra routine domenicale. Quando fu il momento di andar via, lasciandomi eccitato da sentire l’odore del mio pene lubrificato anche con i pantaloni addosso, peraltro macchiati da un leggero alone per gli stimoli continui, mi disse semplicemente: oggi hai fatto la prima lezione per imparare come comportarTi da adesso in poi. Inginocchiati, baciami i piedi e attendi istruzioni, non si gioca più. Le istruzioni arrivarono in serata ed erano essenzialmente quando descritto all’inizio di questo resoconto.
Così, un giorno mentre leggevo comodamente in poltrona, ricevetti un messaggio vocale: vieni subito, ho voglia di giocare un po’ con te prima di uscire per lavoro. Mi venne duro immediatamente, era quello che avevo sempre sognato, schiavo totale dal mattino alla sera, nessun diritto, nessuna vita di coppia, un’autentica e inappellabile schiavitù. Entrai in casa pochi secondi dopo. Mi rinchiusi alle spalle la porta e la vidi appoggiata alla scrivania del salone. Come ai tempi degli incontri nel suo studio, amava farsi trovare appoggiata con i glutei alla scrivania, ben visibile appena avessi aperto la porta. Era un po’ il segno del Suo dominio e non mancavo mai di ringraziarLa commosso per la concessione immancabile di quel piacere. Aveva indosso una giacca color avana e delle calze velate color carne. Décollétées nere a spillo con suola rossa. Non indossava la gonna. Sorridendo mi chiese se pensavo che andasse bene andare a una riunione di lavoro così o se mancasse qualcosa. Sei sempre perfetta mia Divina Signora, non è utile chiederlo a me. In effetti, per quanto mi sforzassi, mi era impossibile giudicare alcunché del Suo aspetto o del Suo operato. Soprattutto sul piano psicologico, la nuova dimensione di servo mi aveva fiaccato e annientato. Prima che diventassi il Suo oggetto nella vita reale e che cominciassi a vivere secondo la lettera del contratto, avevo un po’ il timore che il desiderio potesse scemare col tempo e che la continuità potesse logorarmi, lasciando spazio a fantasie diverse. Sorprendentemente, era riuscita a controllare totalmente i miei desideri: l’uso di parole chiave, cambi di tono di voce, movimenti del corpo, sguardi tutti mirati ad annientare la mia volontà. Mi aveva totalmente inebetito, Le parlavo sempre con tono dimesso in qualunque circostanza. Era riuscita a modellarmi, forte probabilmente anche del fatto che mi aveva tolto tutto ciò che potesse farmi pensare di avere un vita oltre la schiavitù. Avevo solo a disposizione il lavoro, funzionale a garantirLe il tenore di vita desiderato. Il denaro mi era accreditato su un conto cointestato e solo Lei aveva le carte di credito. Potevo usarLe su ordine preciso per andare a prelevare al bisogno perché non gradiva.
Vieni qui, spogliati e inginocchiati schiavo. Obbedii come sempre come un automa. Cominciò a giocare con i capezzoli, portandomi a quello stadio di estasi arrendevole che desidera per giocare con me. Quando la luce dei miei occhi si spense, mostrandoLe il totale annientamento fisico, mi chiese di seguirLa. Si mise a sedere sul divano e allargò le cosce. Senza dirmi una parola, toccò la mia testa spingendola leggermente verso il vuoto che aveva creato davanti a me. Le strinse immediatamente e sentii che incrociava le gambe dietro di me. Mi tenne stretto fra le Sue cosce potenti e tornite. Avevo il pene durissimo e facevo fatica a respirare. Per la prima volta nella mia vita, mi sembrò di comprendere il piacere che provano le persone che amano sessioni di wrestling. Sentivo il fruscio irresistibile e la carezza autoritaria delle calze, la forza dei Suoi muscoli tonici e la morbidezza della donna attanagliarmi in una morsa implacabile. Le mie mani, che prima avevano a lungo accarezzato con le unghia la parte esterna delle cosce, cominciarono a perdere forza, demoralizzate e rassegnate. Istintivamente le portai dietro la schiena come legato. Si mise a ridere, Come fai a sapere che voglio legarti, mi chiese. Risposi timidamente, sono il Tuo schiavo. Allentò la presa, La guardai innamorato come un cane della Sua padrona, godetti del morso delle Sue dita sui miei capezzoli e mi lasciai docilmente legare le mani dietro la schiena. Mi fece appoggiare il tronco sul divano, un tacco ben piantato sulla schiena, il cui marchio sapevo che avrei portato per giorni, e cominciò a colpirmi col frustino. Cinquanta colpi sulle natiche mentre il tacco affondava sempre di più. Quando terminò il trattamento ero sfinito ed eccitato. Adesso devo andare, torno fra circa tre ore ma prima dobbiamo fare una cosettina. Tirò fuori quanto non avevo mai visto ma di cui mi aveva già parlato. Una gabbietta per il pene in silicone con lucchetto. La assicurò con l’anello nei testicoli e mi fece infilare il pene dentro. Chiuse il lucchetto con la chiave e mi guardò con un sorriso ironico mentre la infilava nel taschino della giacca. Una mano appoggiata sul petto e un’altra che mi accarezzava il viso, guardava il mio membro in erezione costretto dalla cintura di castità mentre una smorfia di dolore si dipingeva sul mio viso. Come vedi è meglio che non pensi troppo alla Tua Padrona finché non sarò tornata per ilberarti. L’amavo alla follia ed ero Suo, come fare a non pensare a Lei e come evitare di eccitarmi? È quello che avrei provato a fare fino al ritorno di quella che, ormai in senso proprio, chiamavo la mia Padrona.