Scritto da: Dasa
Pubblicato da: Elvira Nazzarri (ricordo ai cari lettori che i racconti sono espressioni di fantasie in prosa)
Ero in partenza per le vacanze quando mi arrivò una notifica di una mail da parte di Mistress Elvira:”Scrivi un bel racconto per allietare i miei momenti di noia a bordo piscina.” Il viaggio era lungo e così cominciai a immaginare e imboccai un binario preciso delle mie fantasie più nascoste. Vi presento il frutto del mio girovagare tra i meandri della mia mente…
Sembrava una giornata come tutte le altre, le mandai un messaggio appena fui sotto lo studio, attesi qualche secondo che mi aprisse il portone e salii le scale, in quella strana mescolanza di sentimenti che sempre provavo prima di incontraLa: ansia per l’ignoto, sottomessa rassegnazione al Suo potere, desiderio incontenibile di vederLa. Una miscela paralizzante che risultava nell’esecuzione passiva delle disposizioni. Anche salire le scale era in fondo il gesto di un automa, in nulla in grado di controllare le proprie azioni e governare i processi mentali alla base di esse. Anzi, proprio il vuoto della mente, in qualche modo, definiva quei momenti. Aprii la porta e La vidi, come sempre, al solito posto: appoggiata con i Suoi irresistibili glutei alla scrivania, mi guardava con sguardo compiaciuto e ammiccante. Era cominciata l’estate ma, lo lessi come un buon auspicio, non aveva voluto negarmi il piacere di offrirsi alla mia vista in reggicalze. Il lembo di pelle scoperto sopra la balza e sotto le mutande è forse il cuore stesso della dominazione. Un corpo vestito di trasparenza, si offre in tutta la Sua bellezza e si nega tramite la barriera seducente del nylon e dell’acrilico. In mezzo, uno spazio di libertà e di poderosa e sensuale seduzione, pelle viva, fresca, liscia e profumata proprio lì, vicino al cuore della femminilità della Padrona che resta sempre coperta, opaca o velata, irraggiungibile. Un desiderio irrefrenabile frustrato dalla bellezza degli accessori sui quali deve dirigersi la vittima di questa inebriante tortura feticista. Ai piedi décollétées nere, sobrie e severe, senza mostrare molto. Sopra il reggicalze una camicia bianca scollata e annodata sopra la pancia, visibile nella sua morbida eleganza.
Fui immediatamente ai Suoi piedi, come l’automa che mi aveva reso ma con una consapevolezza, che mi aveva lasciato e pretendeva non sparisse mai, di compiere un gesto di sottomissione. Mi aveva addestrato alla perfezione, mi ricordava spesso ridendo, automa nell’esecuzione dei Suoi ordini ma schiavo consapevole ogni volta che dovevo compiere un gesto umiliante. Voleva che ogni umiliazione mi vedesse presente e consapevole. Diceva sempre che quella consapevolezza mi avrebbe reso sempre più Suo e mi avrebbe salvato. Salvato dal baratro di dover subire il dolore fisico che sempre più spesso Le piaceva comminarmi e quello, a volte davvero insopportabile, delle Sue lunghe assenze. Solo la consapevolezza di essere un servo devoto, la cui vita è totalmente consacrata alla Dea, mi avrebbe reso tollerabile la schiavitù. Una schiavitù che invece le continue umiliazioni, la contezza di gesti mai banali come inginocchiarsi e baciare i piedi della Domina mi aiutavano a vivere con serenità e rassegnazione.
Su, fammi sentire le tue unghie schiavo! Mi apostrofò con voce ferma e sensuale. Adora farsi grattare delicatamente le gambe, i piedi e la schiena. Appena arrivo in studio, non appena mi sono inginocchiato, è mio dovere prendermi cura delle Sue deliziose estremità. A volte però non riesco a eseguire tutto nei tempi che la mia Dea immagina. Così quel giorno mi capitò di indugiare qualche istante di troppo con le labbra sulle scarpe e i piedi. Bravo schiavo, così mi piace. Un gemito di piacere, il Suo, che mi appagò in anticipo del dolore che, sicuramente, avrei provato più avanti nella sessione. Adesso sollevati schiavo, voglio torturarti un po’ i capezzoli. Sì Padrona, risposi come un automa e mi sbottonai la camicia. Con un sorriso dai toni bassi e seducenti che usa in contrapposizione a quelli più alti dei comandi, Eccoti qui, totalmente in mio possesso. Come te li tratto io non ce n’è mai stata e mai ce ne saranno. Lo so Padrona, replicai confuso, reclinando il capo. Grattini! Di nuovo la voce salì sul registro alto. È la cosa più difficile non abbandonarsi al piacere che procurano la Sua voce, le Sue carezze, la Sua frusta. Estasiato dal continuo giocherellare delle Sue dita sul mio petto, massaggiavo amorevolmente con le mie unghia le Sue gambe, nei modi e nelle zone che ormai avevo imparato a stimolare e che mi garantivano sempre il piacere di sentire la mia Dea soddisfatta dei miei servizi e il piacere fisico che con le Sue mani, i Suoi piedi, il Suo corpo, la voce e gli sguardi, sapeva procurarmi.
Nel pieno dell’estasi della tortura, mi ordinò di alzarmi e spogliarmi. Tornai subito ai Suoi piedi in costume adamitico e stavolta sentii le unghia laccate di rosso fuoco sulla mia schiena, affondare in un brivido di piacere fino a quando non entrarono così dentro da procurarmi un dolore seducente. Mi incappucciò il volto, mi mise il collare e le polsiere e mi portò, tirando il guinzaglio, nella grande stanza in fondo. Conoscevo molto bene la stanza e, sebbene bendato, compresi che eravamo arrivati in fondo, dove ci sono le gabbie. Bene, abbiamo un altro ospite oggi, disse a voce alta. Compresi e sentii la presenza di qualcuno. Il rumore del bambù mi confermo che eravamo arrivati in fondo, Entra, mi disse. Eseguii e richiuse la gabbia dietro di me, non prima di avermi legato alle sbarre con le catene che pendevano dalle polsiere e che assicurò con dei moschettoni. Ero in ginocchio, scomodo e spaventato. Sentivo respirare a destra e a sinistra, compresi che dovevamo essere almeno tre ma non immaginavo chi fossero e in quali condizioni versavano le altre vittime. Sentii i Suoi tacchi allontanarsi e di nuovo, dopo il breve smarrimento, il mio pene si risveglio al suono della musica sublime dei tacchi della mia meravigliosa Despota.
La sentii tornare e restai in silenzio. Fossi stato solo avrei probabilmente invocato il Suo nome ma così, esposto insieme ad altri oggetti mi sembrava di non avere diritto alla parola. Restai in silenzio, così come gli ospiti. Era vicina ormai e all’improvviso sentii un gemito femminile alla mia sinistra che si trasformò rapidamente in un lamento di dolore e poi in un canto di gratitudine pieno di sofferenza. La stava sicuramente trattando e preparando all’obbedienza. Poi venne da me, non disse niente, aprì il cancello, prese il guinzaglio e mi tirò fuori dalla gabbia. Eravamo tutti vicini, avrei detto dal lato opposto, in prossimità del trono. Mi fece inginocchiare carponi con la testa rivolta verso il basso e la sentii armeggiare con qualcosa di rumoroso. Mi frustò ripetutamente e mi intimò di restare totalmente immobile, lo stesso ordine lo impartì a qualcuno alla mia sinistra.
Quando mi sistemai nella posizione che desiderava, cominciai a intuire cosa stesse facendo, anche dalla istruzioni che stava dando alla donna. Sentii la morsa del legno sopra e sotto il mio collo e compresi che ci aveva messi in un giogo come una coppia di buoi da soma. Il lucchetto si chiuse per imprigionarmi nella più crudele umiliazione che mai mi avesse impartito. Volle completarla togliendomi la maschera. Adesso potevo vedere davanti a me delle scarpe chiuse in punta con cinturino sul tallone. Erano di colore blu, la punta trasparente con una trama arabescata con temi floreali e dei cuori. I Suoi meravigliosi piedi esposti dopo forse un’ora di benda, nella posizione che non lasciava alcuna possibilità di movimento e così mortificante, mi causarono un’erezione immediata. Si spostò sul lato, forse per controllare e, ridendo, mi diede del maialazzo e mi colpì ripetutamente con il frustino. Alternava i colpi a me e al compagno di sventura e andò avanti per diversi minuti. Sentivo il suo lamento alternarsi al mio, sentivo il dolore, tanto dolore, ampliato dalla totale impossibilità di muoversi causata dal giogo. Nessun movimento del corpo per assorbire i colpi che scaricavano tutta la loro potenza, Mistress Elvira è una donna che sa essere molto energica, nel punto in cui la Despota intendeva colpire.
Sfinito dai colpi, che evidentemente servivano ad azzerare completamente la volontà, restai totalmente inerte e rassegnato. Bene, adesso che vi ho acconciati come le bestie che siete, vi manca solo un dettaglio. Su, riempi i culi di queste due vacche. Diligente, la schiava unse prima me e poi l’altro schiavo e ci penetrò senza troppe cautele, nè perizia. Sentii il fallo dentro di me e provai un brivido e una soddisfazione perversa, al sapere che quella situazione di totale immobilità, completata dal fallo nel culo, era quello che Mistress Elvira voleva da me. Con la coda dell’occhio vidi la schiava scavalcare il giogo e mettersi in mezzo a noi, proprio davanti al trono, dove la Padrona si era intanto sistemata e aveva allargato le cosce, appoggiando il tacco superbo sulla mia testa e immagino su quella dell’altra vacca. Ero eccitatissimo, mi bruciavano la schiena e i glutei, il collo era indolenzito, le ginocchia sofferenti ma ero felice come mai in vita mia. La mia Padrona mi stava usando. Vedevo adesso la schiava molto bene alla mia sinistra, aveva dei fianchi molto sinuosi e un seno morbido e invitante che osservavo pendere verso il basso mentre dietro i lunghi capelli mori la intuivo assaporare il gusto divino della Padrona. Non potevo girarmi e del resto avevo il tacco piantato sulla testa. Di tanto in tanto, fra un gemito di piacere e un ordine alla schiava su come e dove muovere la lingua, Mistress Elvira colpiva con la frusta lunga di corda, a volte me a volte l’altro armento. Ebbe un paio di orgasmi, prima che ordinasse alla schiava di spostarsi. A quel punto ci fece sollevare, contemporaneamente e con tutta la difficoltà di sincronizzare i movimenti, rimanendo sempre sulle ginocchia ma ad un altezza tale che potesse farci annusare l’odore paradisiaco del Suo orgasmo. Fisicamente distrutto, mentalmente prostrato, mi sentii sopraffatto dall’odore e mi liberai in lacrime di emozione. Bene, disse la Padrona, prendendomi i capezzoli fra le dita e regalandomi uno dei momenti più intensi. Adoro sopraffare i miei schiavi fino a ridurli in lacrime. Non siete niente se non miei schiavi, non dovete nemmeno pensarvi come individui, solo oggetti per il mio piacere.
Con l’aiuto della schiava ci liberò dal giogo e ci fece allungare sotto il trono a faccia in su. Appoggiò un piede sul mio volto e uno sul volto dello schiavo, mentre la schiava continuava a muovere il fallo nei nostri culi, mentre noi cominciammo a masturbarci su ordine della Padrona. Poi diede le disposizioni per l’orgasmo finale collettivo. Ero disteso per terra, la schiava sedette su di me e mi ordinò di leccarla, lo schiavo a quattro zampe di fronte a me lo prese in bocca e cominciò a succhiarmelo mentre dietro di lui Mistress Elvira lo penetrava con lo strap-on dopo avergli legato un vibratore elettrico al pene eretto. La schiava era eccitatissima e io godevo del suo odore e del suo sapore mentre mi accarezzava con perizia e dolcezza il petto. La Mistress ordinò che godessimo tutti insieme al conto di dieci. Con puntualità inaspettata, favoriti dall’attrezzo elettrico che comandava l’orgasmo del primo, portandolo alla frenetica azione sul mio pene. Fui travolto dal piacere che riversai con la mia lingua sulla schiava e venimmo all’unisono al conto di dieci, per la soddisfazione della mia Padrona. Restammo tutti così per qualche momento senza una parola. Fummo tutti bendati di nuovo e su ordine della Padrona, uno ad uno, ci rivestimmo e andammo via. Ebbi l’onore di essere congedato per ultimo. Mi gettai ai piedi della Padrona grato e innamorato più che mai e Le dissi solo che era stato bellissimo e che diventare il Suo schiavo e accettare tutto da Lei era la cosa più bella che mi fosse mai capitata.