CFNM, Dominazione, Giochi di ruolo, Racconti dei miei faithful

La terapia

Scritto da: Arci

Pubblicato da: Elvira Nazzarri (il contenuto dei racconti è espressione in prosa di natura fantastica )

La fine della storia con V. aveva avuto effetti devastanti sula mia mente. E sul mio corpo.
Infinite le notti insonni, gli attacchi d’ansia, i mal di pancia innescati da un piccolo casuale frammento di ricordo e poi esplosi ripensando a quell’universo perduto.
Eppure i fatti erano questi. Una drammatica incapacità di relazionarsi con l’altro sesso, come se tolti i cardini a una porta questa anziché cedere non si potesse più aprire.
E poi, insieme alla speranza di un aiuto esterno, efficace, qualificato, definitivo… sei arrivata tu.

La sala d’aspetto non è molto diversa da quella di un qualsiasi altro ambulatorio. Certo a guardarla bene, un po’ retrò, l’arredamento dai contorni un po’ spigolosi rimanda agli anni settanta, ma la sensazione precisa è che nessun dettaglio sia lasciato al caso. Un piccolo tavolo in mogano, un vaso pieno di fiori freschi, fresie, che lusso!, riviste patinate che proiettano nel silenzio della stanza, la bellezza e lo sfarzo di modi di vivere da molti solamente anelati.
Poi si apre la porta. L’assistente della dottoressa è di una avvenenza imbarazzante. E’ alta bionda e morbida nell’aspetto esteriore. Gelida, nell’invito che mi fa ad accomodarmi nello studio profumato dello stesso profumo dei fiori, e in penombra. Sia la dottoressa che lei mi accolgono indossando un camice bianco. L’assistente però ne sembra contenuta, non indossa altro e le sue forme, la sua lingerie, la sua pelle, si intuiscono nitidamente uniche sotto di esso, e distraggono dall’altra presenza che subito pare mi richiami all’ordine dal centro della stanza.
La dottoressa.
La professoressa si manifesta subito sorridente, accogliente e rassicurante. Avanza verso di me esortandomi a lasciare il cappotto nelle mani dell’infermiera invitandomi a sedere sulla poltrona davanti alla sua scrivania. Come se mi volesse subito più vicino. La dottoressa indossa il camice aperto davanti quasi avendone fastidio, tanto è elegante il suo vestito e il suo portamento sotto di esso. È cosi diversa dall’assistente.
Mi stringe la mano e ci sediamo. Fa segno anche all’ancella di sedersi alla sua postazione sul lato più buio della stanza, dietro a uno schermo di computer da cui riemergerà dopo nel più imprevisto dei modi. La dottoressa nel segno all’apparenza banale che da, ha la perentorietà di un ordine, di cui sul momento non giustifico l’asprezza.
Usa la voce come un terzo braccio con cui fare le cose: la alza, la abbassa, la addolcisce; la increspa con una padronanza studiata che tutto fa obbedire al suono delle sue corde.
Io invece a fatica metto insieme quattro parole confuso dai sensi. Mi sorride dimostrando di capire il mio imbarazzo. Ma non so se capisce davvero.
È bella, eterea, perfetta. E soprattutto consapevole di questa bellezza: sicura di essa. Procede con la tranquillità di chi ha già vissuto mille volte questa situazione e piano piano se ne re-impadronisce con gusto, ogni volta. Non sbagla niente: né un sorriso, né una parola, né un gioiello, né un colore. Mi parla e mi chiede di parlare da una postura elegante e impeccabile nella sua gonna retta che non mortifica anzi esalta la sua esile femminilissima figura. Non è seduta, ma sembra solo leggermente appoggiata alla sua poltroncina di velluto. Da questo momento le sue gambe diventano il mio chiodo fisso e non voglio né riesco a resistere alla tentazione di guardarle non appena ne ho occasione. Avidamente percorro quella linea dolce e sfumata dal nylon, che dal tacco della sua scarpa di vernice chiara risale fin verso la piegatura della gamba accavallata sull’altra. Piccoli movimenti che trasudano sensualità. Io non la immaginavo così giovane, e a un certo punto per spiegarle il mio imbarazzo arrivo perfino a confessarglielo. Sorride e non ci faa caso mentre mi ordina, si ho scritto ordina, di togliere la camicia per prendermi la pressione. D’improvviso mi sento fuori luogo, inadatto a mostrarmi di fronte a due donne cosi belle e più giovani di me. Lo capisce e per stemperare mi dice:” Coraggio, si rilassi e non si faccia problemi, siamo abituate.. non è vero Ambra?” Lei la segue a memoria e “…a ben altro” risponde.
Mi sembra subito evidente che entrambe non vogliono mettermi a mio agio, ma solo farmelo credere, per uno scopo che adesso non riesco ancora a decifrare. Intanto io le ho obbedito e mi ha misurato la pressione non disdegnando di ammiccare ad Ambra una battuta sul motivo di una massima così bassa. Mi stupisce come a volte sembra lei la voglia prevaricare, e a volte sembrano complici in un gioco appena iniziato che comincio ad intuire, senza immaginare fin dove.
“Bene, adesso prendiamo qualche misura! Ambra vuoi essere così gentile da aiutarlo a svestirisi ”
L’anamnesi si è appena conclusa.

Ambra ha una luce strana negli occhi, sembra una creatura docile ed ubbidiente, ma allo stesso tempo… piena di fantasia. Mi indica un angolo della stanza dove c’è uno sgabello, e una di quelle bilance da studio medico.
“Adesso si spogli completamente. La devo pesare”
Provo a reagire: “che bisogno c’è di togliere tutto?”
Ambra non si scompone ma volge lo sguardo direttamente alla dottoressa. Il tono della sua risposta è una sferzata… la prima di questo pomeriggio.
“Vorrei non dover discutere con lei ogni momento il mio protocollo di visita! L’altezza, il peso e i parametri morfometrici vanno presi sul paziente nu-do, è chiaro? La pregherei di non discutere, oggi non sono dell’umore…Ambra procedi.”
Ambra con aria di nervosa impazienza mi tende una mano nel gesto di prendere i miei indumenti. Mi tolgo i pantaloni e i calzini, glieli passo, poi mi fermo, e sollevo per un momento gli occhi, ad implorare un’ultima volta pietà. Lei fa una smorfia, mi si mette alle mie spalle si piega leggermente e con un gesto secco mi sfila i boxer lasciandomi nudo davanti al suo sguardo che, finalmente soddisfatto, licenzia nuovamente un sorriso.
Provo a coprirmi.
Scoppiano di nuovo entrambe in una risata. Poi la dottoressa si ricompone, si fai ancora una volta dolce e si avvicina.
“Capisco che per voi uomini mostrarsi così possa essere spesso un problema, ma se accetterà i miei suggerimenti terapeutici supererà progressivamente questi complessi e molti altri, in un percorso di definitiva liberazione sessuale.”
È a un passo da me, percepisco il suo profumo, mi afferra le mani e me le porta sui fianchi.
“E’ fondamentale per la mia terapia che io possa conoscere sempre il suo stato emotivo reale, quindi è un bene per tutti e due , anzi tre, che io … e la mia assistente… possiamo sempre vedere la presenza e la consistenza delle sue … diciamo reazioni.. di cui la mia assistente terrà opportuna considerazione, non è vero cara? Per cui non provi mai più a coprirsi in nostra presenza.”
Ambra non ha smesso un minuto di fissare il mio sesso che per la verità mostra già qualche segnale di impazienza motivato, immagino dalla “stravaganza” della situazione. Nel frattempo ha indossato dei guanti in lattice. Guardandomi fisso negli occhi e senza troppi preamboli lo afferra, lo soppesa, infligge due-tre rapidi colpi di va e vieni sull’asta, stringe e allunga lo scroto. Si gira verso la dottoressa e dice: “nella norma”.
La professoressa le fa segno di procedere, lei diligentemente mi fa salire sulla bilancia, mi prende altezza peso circonferenze ecc.
La dottoressa è seduta davanti a me, con una postura regale, una bellezza essenziale. La sua voce dolce e penetrante mi potrebbe convincere di ogni cosa, anche di trovarmi in una situazione normale.
“Bene, adesso che la vedo più a proprio agio, mi cominci a raccontare di questa esperienza che tanto l’ha fatta soffrire”
“Devo risponderle così?” Alludo al fatto di esser nudo davanti a lei, mentre Ambra è tornata alla sua postazione e compila una tabella con i miei numeri. Intravedo con la coda dell’occhio le sue gambe avvolte nel nylon chiaro sotto la scrivania mentre la sento digitare sulla tastiera.
“Certo! Forse non ha capito che il nostro compito è quello di decifrare le sue reazioni, per indirizzarle nella maniere più opportuna, perché riacquisti il suo benessere psico-fisico. Per ottenere questo, deve trovarsi in uno stato di assenza di filtri, di mediazione, e di totale fiduciosa obbedienza alle mie istruzioni”
Mi piace tanto, troppo per frapporre ulteriori resistenze. Sono quasi ipnotizzato dalla situazione. Inizio a parlare della mia relazione naufragata, dell’intesa sessuale meravigliosa e poi perduta, del fallimento. Alludo al piacere derivato dalla sottomissione fisica sempre praticato a voce, mai a fatti. La dottoressa a quel punto si alza, mi gira intorno e mi sfiora con studiata lentezza. Poi si ferma accanto e mi posa una mano su un gluteo.
“Bene, adesso passiamo alla parte sensoriale della visita”
Ambra si è alzata ed è andata a sistemare lo schienale di un lettino medico che pensavo esistesse solo negli studi ginecologici. Avvicina un carrello con un apparecchio da cui pendono cavi e sensori tipo elettrocardiografo. Quando ha finito mi fa cenno di avvicinarmi.
Mi siedo, ed identifico in questo momento l’ultima libertà dei miei arti inferiori e superiori. Ambra infatti sotto il tuo sguardo vigile e compiaciuto mi fissa prima le caviglie, poi i polsi ed infine il torace al lettino. Mi trovo immobilizzato, quasi sdraiato ma con gambe aperte e sollevate, ancora una volta alla completa mercè dei loro sguardi. Ambra una volta finito si lascia scappare una carezza sul mio petto. Poi inizia a pinzarmi ovunque questa maglia di sensori collegati allo strumento.
“La sottoporremo ad una serie di stimoli prima uditivi, visivi… e poi sempre più sensoriali, per valutare le sue reazioni. Comincerò con una serie di domande che forse troverà un po’ crude ma che sono fondamentali per stabilire le sue soglie di eccitazione di base”
La dottoressa riguadagna la sua poltrona di fronte a me e mi regala nuovamente la visione del tuo corpo lascivo e severo. Delle sue meravigliose gambe accavallate e scoperte ad esasperare il mio desiderio. Della sua voce che mi sfonda il cervello. Ambra ha acceso la strumentazione e ri-indossato un guanto nella mano destra. La sinistra è distrattamente e mollemente appoggiata sul mio addome. E la cosa non è priva di conseguenze.
La dottoressa se ne accorge.
“Le piace Ambra? Come forse avrà immaginato lei avrà una parte attiva in questo test”
La cosa più stupida che mi viene da dire è “Ah, certo è una bellissima ragazza, molti mi considererebbero fortunato!” ma percepisco di aver detto o fatto qualcosa di sbagliato. Parte la seconda sferzata. La voce è fredda, severa. Lontana.
“Aspetti a dirsi fortunato, gli esiti di questo test hanno spesso valicato ogni limite dell’immaginazione del paziente…”