scritto da Kobar
pubblicato da Elvira Nazzarri
Finalmente dopo quattro giorni di fiera poteva rientrare.
Routine conosciuta, i saluti, il taxi e quel tempo necessario per anticipare eventuali inconvenienti che poi gli avrebbe fornito un’oasi di relax. Passeggiando in quelle aree degli aeroporti che assomigliano a un centro commerciale ma in un’atmosfera surreale di relativo silenzio e di tempo non determinato ma subìto come fano le persone che durante la settimana viaggiano da sole.
Francoforte, hub aeroportuale intercontinentale. Milioni di passeggeri e centinaia di tedeschi, formati e ligi al proprio dovere che li controllano. Con una severità e un tempo tripli di un normale aeroporto.
L’esperienza ha un valore e J. Sapeva come evitare di far suonare il metal detector; tutto nei contenitori, vuota le tasche, via la cintura ecc.. Tutto perfetto. Intanto l’operatore passa allo scanner il contenuto della borsa, giacca, cappotto e computer.
Con un rumore di cuscinetti a sfera i rulli resero tutto a J tranne il computer. Una signorina poco più in là l’aveva in mano. Gli andò incontro con un sorriso gentile ma fermo e gli disse “Spezial kontrol”.
Lo invitò a seguirla e si incamminò. Non molto alta, mora e carnagione chiara, vestiva quella specie di uniforme fatta di una camicia azzurra, un maglioncino aderente blu e un pantalone scuro con una bella riga stirata come si deve.
L’atteggiamento della signorina era così accogliente da sembrare quasi caloroso ma al tempo stesso lasciava trasparire l’inevitabilità di quello che stava facendo, e avrebbe fatto.
Entrati nella stanza la signorina posò il computer su un tavolo e invitò J a sedersi. Era uno stanzone vuoto, praticamente privo di arredi dove erano collocate in modo stranamente disordinato diverse macchine che dovevano essere dei lettori a raggi X o qualcosa del genere.
La signorina mise dei guanti di plastica trasparente, chiese l’autorizzazione ad aprire il computer e ad accenderlo e disse: “Ci vorranno pochi minuti”.
J pensava che volessero verificare l’assenza di eventuali sostanze esplosive o altro ma quando la signorina gli chiese la password J cominciò a pensare che il controllo non fosse di quelli di routine.
“Perché le serve la password? Pensavo voleste solo verificare che il computer non contenesse esplosivi o altro”.
“Non le posso dire di che si tratta. Sappia che è in gioco la sicurezza del nostro Paese”
“Ma non avete bisogno di un mandato per fare questo?
“Siamo sati dotati di poteri eccezionali ma se vuole chiedo alla polizia di chiamare il magistrato, così fra tre ore arriva un mio collega furioso con un mandato del magistrato che gli permette qualunque tipo di verifica. Veda lei”
J cominciò a preoccuparsi perché dal tono capi che quella situazione aveva preso una piega tanto inattesa quanto indefinita.
Ad un certo punto vide l’espressione della poliziotta assumere un’aria sottilmente ironica.
Si chiese cosa avesse potuto suscitare in lei quell’espressione. Aveva immagini personali, foto varie e anche qualche foto erotica. Ma pensò che non fosse possibile che una poliziotta potesse frugare nelle sue cose, e soprattutto con quell’atteggiamento. Per la prima volta J formulò un pensiero strano, di pericolo: era una situazione anomala, avevano camminato per parecchio tempo ed erano in una stanza che sembrava non essere nemmeno nell’aeroporto. J aveva fiducia nella polizia, ma in quel momento si fece strada un’ipotesi piuttosto preoccupante. Poteri speciali, comportamenti anomali, un luogo dove nessuno entrava e usciva com’è normale negli aeroporti.
In quel momento la poliziotta interruppe i suoi pensieri con una frase che sembrò rassicurante: Tutto a posto Sig. J. Il suo computer è ok.
“Bene rispose J, allora riesco a prendere il mio volo”
“Può darsi, ma prima devo controllare lei”.
“Forse le devo una spiegazione in più” disse la poliziotta. “Stiamo fronteggiando un pericolo nucleare, informazioni che servirebbero a chi vuole costruire un ordigno e che non possono essere inviate via internet perché a questi livelli si risale a chiunque. Sono informazioni che vengono inserite in microchip di dimensioni pari a una capocchia di spillo, che possono essere inserite sotto pelle ed è difficilissimo trovare”
“Capisco” disse J “ma perché mi sospettate?
“Un’informazione dei Servizi Segreti, una descrizione che corrisponde, la frequenza dei suoi passaggi”
“Ma lavoro per un’azienda locale!” obiettò.
“Certo, proprio per questo i suoi passaggi frequenti potrebbero essere sfruttati, anche a sua insaputa. Le devo chiedere di collaborare, cerchiamo di fare presto”.
Prese un tappetino, lo posò ai suoi piedi e gli disse “si tolga per favore scarpe e calze”.
Nonostante irritazione e timore si stessero facendo largo, J si ritrovò a pensare che era in giro dalla mattina, quindi non era freschissimo, e che gli dava fastidio che la poliziotta avesse accesso a un aspetto così intimo della sua vita.
Subito dopo però pensò che non avesse senso in quella situazione preoccuparsi dei suoi piedi.
La poliziotta prese in mano le se scarpe, le posò sul tavolo e le esaminò una a una, con una specie di pila, guardando anche dentro.
J penso che in quel modo avrebbe certamente identificato un eventuale odore sgradevole.
La poliziotta posò le scarpe a terra e disse a J “ Si tolga gli abiti per favore”. La voce era un po’ meno cortese.
J accennò una protesta: “Voglio un suo collega”
La poliziotta indurì l’espressione del viso e disse “Sig. J, mi dispiace ma credo che lei non abbia capito la gravità della situazione. Io ho il dovere di garantire la sicurezza a milioni di persone e per fare questo sono disposta a tutto. Figuriamoci se posso permettermi di ascoltare le sue lamentele”.
“Se il suo problema principale è quello della vergogna di trovarsi nudo davanti a una donna le do un consiglio per la prossima mezz’ora consideri che la sua collaborazione rappresenta un contributo alla sicurezza del mio paese, e probabilmente anche del suo. Per il momento può tenere gli slip.”
“Per il momento…” pensò J.
Spogliandosi J si ritrovò ancor di più nella condizione di prima. Erano le 17 e dalla mattina non aveva fatto altro che incontrare persone, camminare, il tutto in un ambiente caldo.
Non era certo un campione di freschezza, ma si rendeva conto che stava ragionando come un corteggiatore si preoccupa di essere in condizioni perfette per un incontro con una donna.
Non capiva se il pensiero nascesse da lui o se in effetti la poliziotta avesse un atteggiamento ambiguo che lo inducesse a considerarla femmina prima ancora che poliziotta.
J era in piedi in mutande.
La poliziotta gli indicò un lettino e disse “Si sdrai”.
Era un lettino come quelli che si usano per i massaggi.
Per un istante J si rilassò ma subito dopo ripartì l’angoscia. La poliziotta si era sfilata i guanti e si stava lavando le mani. “Purtroppo non esiste guanto abbastanza sottile da permettermi di identificare un eventuale corpo sotto pelle. E’ così che vengono nascosti la maggior parte di memorie di dati. E per certi materiali non ci sono scanner in grado di identificarli”.
J cercò di immaginare come la situazione si sarebbe evoluta ma preferì fermarsi e aspettare gli eventi.
La poliziotta si avvicinò, dietro la sua testa e cominciò a tastare la sua cute. Aveva i capelli cortissimi, cosa che agevolò quell’ispezione iniziale. A un certo punto la poliziotta abbassò il lettino e reclinò l’ultimo tratto, per poter illuminare la bocca di J con una piccola pila potentissima.
“Non è una semplice pila. Emette frequenze che scaldano i materiali dei microchip. Se lei ne avesse uno nella bocca, entro un minuto urlerebbe per le ustioni”.
Nonostante fosse ormai terrorizzato J poté sentire che la poliziotta si era appoggiata al lettino con il bacino e di conseguenza la testa di J e il pube della poliziotta erano a contatto.
Credo si possa dire che J fosse un maiale nel senso classico del termine. Oltre ad apprezzare decisamente il sesso, apprezzava tutte le varianti feticiste legate al corpo femminile.
Tutto ciò che potesse avere l’aspetto di una pratica di adorazione, con particolare riferimento agli odori. Parlo dell’odore della pelle, dell’alito, che considerava estremamente intimo, del sesso ovviamente ma con tutte le varianti del caso. Detestava il sesso profumato di Saugella, era una cosa che lo deprimeva. Sapeva che la chimica ci fa apprezzare o meno gli odori dell’altro, sapeva anche che ci sono studi in proposito che ipotizzano che sia la genetica a farci gradire l’odore di un individuo piuttosto che di un altro in relazione al patrimonio genetico, con l’intento di pilotarci ad accoppiarci per una razza più forte.
Ma comunque preferiva un odore al profumo di sapone intimo. Aveva scoperto che l’odore di sudore poteva essere fastidioso se respinto ma eccitante se lo si lasciava invadere le narici, come la lingua di un’amante nella bocca. Annusare era diventato un riflesso condizionato. Non appena gli passava vicino una donna, su un mezzo pubblico, in uno spazio ristretto, sentendo l’odore della persona tendeva ad insistere inalandone gli effluvi invece di respingerli. Per lui era un po’ come spiare un pantalone basso che lasciasse intravedere una parte del sedere, o una gonna corta che scopriva le gambe. Anzi, era molto di più. Era come rubare uno slip e annusarlo. Era un furto d’intimità…
E tornando al sesso non disdegnava per niente un odore di femmina che contenesse l’odore del sesso anche con un minimo accenno di urina.
Da ragazzo non lo sapeva, ma lo aveva scoperto in uno dei suoi viaggi estivi solitari, a volte in autostop, a volte in moto.
Si era fermato un paio di giorni in un villaggio dell’alta Savoia e una sera una ragazza del luogo gli aveva offerto da bere, gli aveva detto che le ricordava il suo ragazzo e se l’era portato a casa.
Una volta a letto avevano cominciato a baciarsi e lui che amava il sesso femminile era sceso piano piano col viso fino a trovarlo. Con sua sorpresa aveva un odore di urina piuttosto forte. Sorpreso perché le donne in genere sono più attente degli uomini e soprattutto perché avrebbe avuto la possibilità di lavarsi.
L’odore non gli piaceva, pensava all’igiene, ma ormai era lì e non sapeva cosa fare. Provo ad accostare la punta della lingua al suo clitoride e lei sospiro in francese “Que c’est bon…”
A J, che già da ragazzo aveva una vocazione da portatore di piacere, quel sospiro diede la voglia di provarci e dopo poco si trovo a passare la lingua lungo tutto il sesso che si schiudeva mescolando l’odore delle secrezioni prodotte con il “pregresso”. Gli piaceva questo senso di devozione di chi offre la sua lingua senza riserve. Il pensiero che lei lo sapesse e godesse del fatto che l’uomo le stesse letteralmente lavando il sesso con la lingua gli diede ancor più eccitazione e voglia, finché lei non gli venne in bocca.
Periodicamente, per anni, gli venne in mente quell’episodio al quale regolarmente seguiva una domanda che non aveva risposta: “perché non ho provato a leccarla anche dietro?”.
Alla fine si diceva che allora era troppo giovane e non aveva ancora consapevolezza di tutti i suoi desideri.
Ma col tempo aveva capito tante cose e adesso era lì con la poliziotta che sfiorava il suo collo per sentire se sotto la pelle potesse esserci qualcosa di nascosto. La parte terminale del lettino leggermente inclinata verso il basso faceva sì che quando lei si sporse un po’ in avanti per raggiungere il petto aderì ancor meglio alla sua fronte col pube.
Le mani della poliziotta scesero fino ai capezzoli, li tocco e poi cominciò a stringerli delicatamente.
Sentì l’imbarazzo di J e disse “spiacente ma è una delle parti del corpo più utilizzate per nascondere piccoli oggetti…solo stringendoli si riesce veramente a capire se…”
Una porta si aprì ed entrò una collega “Spezial Kontrol?” disse con aria ironica. J si irritò per quel sarcasmo. Cosa ci fosse da sorridere non era proprio chiaro. La situazione non era piacevole ma lui in fondo accettava di servire una giusta causa e che qualcuno ironizzasse su questo lo infastidiva molto. Ma soprattutto lo mise in uno stato di agitazione che in fondo un po’ era calato. Cosa stava facendo la poliziotta? Era tutto vero o era come in una delle sue fantasie? Stava forse abusando dei suoi poteri?
“Sono furiosa!” disse la collega…” E’ da stamattina che non c’è acqua nei nostri bagni e non c’è tempo di andare fino a quelli dei passeggeri”.
La poliziotta lasciò i capezzoli di J e disse “ Non me ne parlare, nemmeno salviette, meno male non mi viene a prendere il mio fidanzato….” E giù a ridere tutt’e due…
La collega uscì e la poliziotta si girò verso J con un’espressione completamente diversa, trasfigurata.
J non capiva ma si preoccupò molto di cambiamento repentino, apparentemente senza ragioni.
Lei lo vide e disse” E bravo il mio Sig. J, rispettabile e rispettato, impeccabile al punto di non temere uno “Spezial Kontrol”. Certo, se qualcuno di vicino alla tua vita privata sapesse che ti ecciti con delle porcate come quelle che hai nel tuo computer magari ti guarderebbe con un occhio diverso.
Vero Sig Porco? “
J rimase in silenzio. Era sorpreso, non tanto che la poliziotta avesse visto, ma che glie lo buttasse in faccia, soprattutto con un tono che non lasciava presagire niente di buono.
“Non voglio sentire cazzate del genere lei non ha il diritto.
Io qui dentro sono Dio. Da me dipende se un pezzo di merda che se ne va in giro per il mondo con l’intento di vaporizzare milioni di miei concittadini ci riesca o no. E proprio per questo io guardo ovunque, anche nel tuo merdosissimo computer, perché non mi sfugga nulla.
E dopo una giornata passata a sentire la puzza di piedi, si caro Sig. Porco, ti puzzano i piedi, e forse anche altro, lo vedremo, dopo una giornata del genere mi tocca guardare dal buco della serratura e vedere donne usate come animali, che hanno cazzi in gola fino ad avere conati o che sono costrette a ingoiare lo sperma di maniaci che prima le hanno sbattute a turno come stracci o che si sono seduti col culo sulle loro facce.
Ti ecciti a guardare questo vero?
Beh, io no, neanche un po’”
“Mi spiace” sussurrò J che se avesse potuto le avrebbe sparato una pallottola in mezzo agli occhi ma che aveva capito che, anche se in modo arbitrario, era nelle sue mani”
“Non è vero”! Urlò “Non te ne frega un cazzo. L’unica cosa che ti dispiace è essere qui, dover rendere conto a me di queste cose. Sai cosa ti dico Sig. Porco? Adesso facciamo un quarto d’ora di pausa durante il quale ti occupi della mia stanchezza e mi fai rilassare.
Poi finiamo l’ispezione. E ricordati che dipende solo da me se esci di qui per prendere l’aereo che ti riporta a casa o il cellulare della Polizia che ti porta in carcere con l’accusa di traffico di cocaina. Si, perché qui, nel deposito sequestri ce n’è un mare e se ti metto addosso un etto di quella roba sei fottuto. Spero sia chiaro.
Adesso fai quello che dico io”
Abbassò ancora un po’ la testata del lettino e, con una forza inattesa tirò J in fuori in modo che avesse la testa quasi a penzoloni all’indietro.
La poliziotta sollevò la maglia, si sbottonò il pantalone stirato e abbassò la cerniera abbassando poi i pantaloni una ventina di centimetri, abbastanza per premere sulla faccia di J con la mutandina.
Non avrebbe potuto mettere la testa di J fra le sue gambe ma d’altronde stava facendo una cosa che preferiva non pubblicizzare.
J si trovò con il sesso della poliziotta a contatto con naso e bocca attraverso lo slip.
Il sopruso era enorme e la voglia di alzarsi e mettere le mani al collo della poliziotta altrettanto.
Ma oltre alla paura c’era una forza strana che spingeva J a non reagire.
Sentiva il calore del pube e l’odore di sesso non lavato da diverse ore. Quell’odore gli aveva già preso la testa nonostante abbastanza forte.
Lei si abbassò le mutandine e disse: “Annusami!” e premette col suo sesso sulla sua faccia.
Non potendo allargare le gambe spingeva in avanti il bacino tenendo ferma la testa di J sfregandosi sul suo naso. “Respira! Voglio sentire che respiri e mi annusi come un cane. Sei capitato proprio nella giornata giusta, non mi lavo da stamattina e sono già andata in bagno 3 volte. Mmmmm, che profumo, lo sento persino io che sale…” Si stava bagnando e il calore umido le portava gli effluvi del suo sesso.
J, che in un primo momento era terrorizzato, era praticamente dominato dalla situazione. Cominciava a piacergli. Era molto forte. Si capiva che era vero che non si lavava da ore. J poteva sentire chiaramente l’odore sprigionato dall’eccitazione e quello invece dovuto alla poca igiene e al sudore. Si eccitò e cominciò a cercare di raggiungere con la lingua il sesso della poliziotta e infilarsi fra le grandi labbra.
Nel frattempo la poliziotta era sempre più eccitata, portò ancora più fuori dal lettino riuscendo quasi a tenere la sua testa fra le gambe che inarcava per schiudere il più possibile il suo sesso.
“ Sei proprio un cane, un cane arrapato. Leccami la fica, maiale. Mi stai facendo un bidet. E vedo che ti piace, ti stai arrapando come un cane. Ti piacciono gli odori forti eh? “ Si scostò, si infilò un dito nel sesso, il più possibile su, lo sfilò e lo passò fra la bocca e il naso di J che con un gesto rapido aprì la bocca e cominciò a succhiarlo.
“Allora sei proprio un maiale! Più di quanto pensassi. Sei anche bravo!”
J ormai in trance leccava la sua padrona in ogni modo: carezzava con la punta il clitoride gonfio, passava la lingua piatta per farle sentire che la puliva e si spingeva all’interno. Questa posizione, anche se scomoda gli faceva sentire tutti gli umori che colando gli riempivano la bocca. In quel modo non poteva far altro che deglutire e ingoiare.
La poliziotta riprese “Bravo il mio cane…gli piace la fica sporca che sa di piscio… Adesso ti faccio un regalo.
Si passò un dito, questa volta fra le natiche, e glie lo fece annusare.
J non aveva scelta: annusò, poi prese a leccare piano il dito.
“Si cane, ti piace anche l’odore di culo. Allora accomodati…oggi niente bidet, solo un po’ di carta igienica, vero Inge?” Era rientrata la collega di prima.
“Eh si… una vera seccatura, ma vedo che hai trovato una soluzione…”
“Si rispose la poliziotta… un vero cane da bidet… se vuoi accomodarti fra un po’ ti lascio il mio posto. Ma prima voglio sentire la sua lingua dietro.
E dicendo così si girò, offrendo il suo culo alla bocca di J. Si sfregò prima sulla sua faccia per lasciarli sul viso il suo odore e poi si aprì le natiche intimando a J “ Leccami il culo maiale”
J che ormai non capiva più nulla aprì di nuovo la bocca e passò più volte la lingua piatta sull’ano della poliziotta e poi prese a spingere dentro, raccogliendo tutto ciò che si era depositato in quelle ore.
La poliziotta capì che aveva a che fare con un vero maiale che non si fermava davanti a nulla e disse “bravo il mio cane lecca fica e culo, adesso gran finale, poi lascio il posto alla mia collega” e così facendo si infilo un dito nell’ano, lo estrasse e lo infilò in bocca J.
Aveva un sapore ancora più forte con una punta amarognola…
“Ti piace la merda eh?….lo sapevo… “diceva muovendo il dito nella bocca di J che, pur perplesso si mise a succhiare, sia per quell’eccitazione che comunque prevaleva sia per paura della poliziotta.
Aveva già sperimentato una situazione diversa, con una fidanzata che amava farsi leccare il culo ma soprattutto amava eccitarlo in prossimità di luoghi o situazioni pubbliche.
Per esempio andando a una festa era capace di fermare l’ascensore, infilarsi un dito nella fica e farglielo succhiare, o sfregargli la fica in faccia, per poi salire, suonare il campanello e fare un ingresso del tutto normale. Così J mentre salutava si ritrovava a pensare al sapore che aveva in bocca o all’odore che gli aveva lasciato sul viso. Con l’imbarazzo di non poter farsi baciare sulle guance per paura che si sentisse l’odore.
Così un giorno, appunto ad una mostra, si mise in un angolo, nemmeno andando alla toilette e si infilò un dito nel culo e glie lo fece succhiare. Gli odori e i sapori gli andavano al cervello come scariche elettriche che il più della volte gli creavano anche eccitazione.
Ma ora era diverso. Era prigioniero di una, anzi forse due, maniache e si sentiva oltre che umiliato anche in pericolo.
Vedendolo succhiare il dito in quel modo si girò, gli mise la fica in bocca e la riempì col suo orgasmo, seguito negli spasmi da qualche piccolo getto di urina mentre lei gli diceva “Bevi! Cazzo…bevi tutto e asciugami, non voglio sporcarmi di più gli slip.
Poi fece posto alla collega e si portò a metà del lettino sul quale J era sdraiato.
La collega era una classica tedescona sui quarantacinque, bionda e piuttosto in carne.
La poliziotta afferrò J per i testicoli e gli disse “Fai a Inge quello che hai fatto a ame con lo stesso impegno se no te lo stacco”.
Ringraziando, la collega si alzò la gonna, sfilò le mutande, piuttosto grandi data la stazza, prese la testa di J e cominciò a sfregarsi avanti e indietro senza fermarsi. Cambiò posizione solo quando decise che era ora di farsi leccare il culo mentre si faceva un ditalino. Venne quasi subito con un grido soffocato, le gambe tremanti e uno scuotimento che fecero capire quanto aveva goduto. E mentre la cicciona se ne stava sbrodolante con la faccia di J fra le gambe la poliziotta prese a masturbare J il quale in pochi colpi venne.
Capì pur senza vedere che la poliziotta lo aveva fatto venire in un contenitore.
“Bene, disse la poliziotta, alzati e vai a sciacquarti, è tornata l’acqua”.
J era stordito, sfinito, non sapeva nemmeno che ore fossero, se avrebbe potuto prendere il suo aereo. Ma ciò che contava era andarsene di li. Rientrò nella stanza.
La donna corpulenta non c’era più. La poliziotta lo guardò a lungo e gli disse.
“Puoi andare. Mi sei piaciuto molto. Mi hai lavato la fica e il culo come un cane. Anche la mia collega era contenta. Mi ha confessato che nel momento dell’orgasmo ha perso il controllo e ti ha scoreggiato in faccia. Le ho detto di non preoccuparsi, che sei un maiale e che anzi, la prossima volta lo farò anch’io. Si, perché ora mi appartieni. So tutto di te, so quando passi di qui e dove vai. E di te ho tutto: impronte, saliva e sperma.
Posso farti accusare di qualunque crimine quando voglio. Ma sarebbe stupido mandare in galera un leccatore come te. Forse faresti la gioia dei tuoi compagni di cella perché sono sicura che saresti bravo anche a succhiare il cazzo. Ma a me interessa averti per me.
Farai la tua solita vita, i tuoi viaggi, senza problemi. Non interferirò nella tua vita privata, ma sappi che quando passerai di qui, e per te è un passaggio obbligato, se avrò voglia ti farò uno Spezial Kontrol.
Buon viaggio”
“Signore ….Signore!….Signore si sente bene?”
J aprì gli occhi…l’aeroporto era semideserto. Guardò l’ora: 23,45. Sul tabellone solo intercontinentali, pochi. Il suo volo era partito da oltre tre ore.
“Credo si sia addormentato signore. Da questo terminal non decolla più nulla fino alle 5 di domattina.
Deve uscire”. Il poliziotto lo guardava paziente.
J non riusciva a capire…aveva dormito profondamente…si..si era addormentato e aveva sognato profondamente.
Si avviò verso l’uscita senza riuscire a ricollegare nulla. Fuori aveva preso a nevicare e i taxi, pochi, passavano lentamente senza rumore.
Sarebbe andato a dormire allo Sheraton dell’aeroporto. E quel sogno? Era veramente solo un sogno?
Nessuna traccia addosso, tranne uno strano profumo di sapone come se si fosse lavato da poco.
Decise che ci avrebbe pensato domani, dopo averci dormito su. Consultò la sua agenda pensieroso per capire quando sarebbe ripassato di lì.
Forse avrebbe scritto un racconto.