Scritto da schiavo amos
Pubblicato da Elvira Nazzarri
Mistress Milano. Due parole possono cambiarti la vita? Un torrido e indolente luglio, la testa quasi in vacanza e di colpo pensieri assopiti, quasi dimenticati, tornano con ineluttabile violenza in superficie; non si può fuggire alla propria natura.
Digito le due parole in un misto di rassegnata noia e ostinata speranza. Quante volte ho cercato tra i siti di incontri nel desiderio di trovare una scintilla di quello che scoprii quando anni fa presi coscienza del mio alter ego.
Una fidanzata e la voglia di esplorare i lati oscuri della sessualità, le prime fantasie che prendono forma e la consapevolezza acquisita che la strada per il mio nirvana passa attraverso la mia sottomissione. Ma il mio carattere è ribelle e il mio desiderio di essere reso schiavo passa unicamente attraverso una sconfitta. Solo una donna in grado di accettare lealmente una sfida, e vincerla, può possedermi veramente.
Così negli anni una mistress si è succeduta all’altra ma nessuna è mai stata in grado di lasciare un segno. In fin dei conti erano solo messe in scena e alla fine, una volta soddisfatto il senso di sete, tutto diventava senza senso.
Mistress Milano, quante volte ho digitato queste due parole e quante ne ho viste da non avere voglia nemmeno di cliccare sull’annuncio, noiose, scontate, banali. Mistress Milano, le guardi e sembrano fatte con lo stampino. Mistress Milano, elenchi infiniti di pratiche senza un briciolo di passione. Due o tre sopra la media le ho anche trovate ma probabilmente non erano fatte per me. Questione di pelle.
Così, anche in questa serata di un luglio appiccicoso davanti al tablet mi metto in cerca, nomi già visti o forse troppo simili tra loro si susseguono, descrizioni piatte senza un briciolo di energia vitale, e il desiderio che incomincia a raffreddarsi. Poi l’occhio cade su qualcosa di inaspettato, una foto che mi colpisce e uno strano brivido, una sensazione di qualcosa di familiare, una descrizione semplice ma diretta, Mistress Elvira.
Le scrivo di getto e attendo. Qualche ora dopo il suono di una notifica mi desta dal torpore che nel frattempo ha preso il sopravvento. E’ la sua risposta, la apro trepidante. Poche parole: Ti ho compreso perfettamente, chiamami.
Due giorni dopo sono sotto il suo studio, felice ed elettrico, so che sono a un punto di svolta, lo percepisco. Apro il portone e sento della musica che proviene dall’alto e che esce dalla porta appena socchiusa in cima alle scale. Salgo con il cuore in gola, entro e per la prima volta la vedo. E’ una visione, la quintessenza di quello che per me è la femminilità, capelli lunghi, scuri, un fisico incredibilmente proporzionato, perfetta nel portamento, occhi dolci, vitali ma che allo stesso tempo non ti lasciano scampo. Quella sensazione che avevo avuto guardandola in foto e leggendo la sua breve descrizione mi ritorna addosso violenta e decuplicata. E’ lei. Mi sorride.
Tra me e lei una scacchiera, la sfida tanto attesa ora è li a portata di mano e tra poco si compirà il mio destino. Le regole sono semplici se vinco amici come prima, se perdo diventerò un suo schiavo. Gioco a scacchi da sempre e mi considero piuttosto dotato e lei mi ha detto di non essere molto portata, così per rendermi la vita un po’ più difficile ho proposto una variante. Ogni volta che riuscirà a mangiare uno dei miei pezzi potrà farmi togliere un indumento a sua scelta. Se prima della fine della sfida dovessi rimanere senza indumenti potrà impartirmi delle punizioni. Si comincia.
Le prime mosse sono di studio, ma perdo due pedoni. Via scarpe e camicia. Ok, devo stare più attento, ci sa fare. Però ho l’impressione che non abbia una strategia ben precisa, si avventa sui miei pezzi apparentemente senza un filo logico. Ma si sa, a volte l’apparenza inganna…
Mi mangia un altro pedone e un alfiere, via calze e pantaloni. Mi guarda e sorride. Ora sono in mutande e in un attimo realizzo il suo arguto piano di attacco. Non sono mosse scriteriate, vuole confondermi. La sua successiva mossa è spietata, si avventa sul mio cavallo e mi guarda intensamente negli occhi. «Ora ti togli le mutande caro». Tentenno. «Le regole sono chiare, se non lo fai la partita si chiude qui. Toglile immediatamente!» La situazione è tremendamente imbarazzante ma non ho scelta e con fare impacciato le tolgo. Ora sono completamente nudo in mezzo alla stanza, contemporaneamente umiliato e eccitato, lei vestita e assolutamente a suo agio mi gira intorno lentamente, sento i suoi occhi addosso e ovunque, sono senza difese. Mi guarda e sorride e in quel momento comprendo di essere la sua preda. Poi mi dice sorniona «dai non è ancora finita, fai la tua prossima mossa».
Ora però è veramente difficile concentrarmi e infatti commetto un errore che mi costa il secondo alfiere. E la prima punizione.
«Peccato, non hai più indumenti da togliere…» Mi dice divertita. «Vai alla scrivania e appoggiati, sedere in fuori». Sulla scrivania sono distribuiti diversi strumenti. Sceglie il cane. «Dieci colpi, e voglio che li conti”. Uno, fa male ma è sopportabile. Due, tre, il dolore incomincia a diventare lancinante ma non voglio cedere e faccio finta di niente. Il quattro, mi rimane in gola. Cinque, non c’è tregua. Sei, le gambe incominciano a cedere. Il sette mi strappa il primo gemito e mi piego sulle ginocchia. «Alzati! e stai fermo, altrimenti ricomincio». Mi rimetto in posizione sapendo che gli ultimi tre colpi saranno infiniti. Otto, mi viene quasi da piangere. Nove, urlo «la prego basta!». Manca l’ultimo. La sento strofinare il cane sul sedere martoriato e giocare sadicamente con l’attesa. Poi prende la rincorsa e l’ultimo colpo è il più violento. Mi accascio a terra e urlo per il dolore. Lei si gode la scena per alcuni secondi e poi mi ordina: «torna immediatamente sulla tua sedia, la partita non è finita».
Faccio fatica a stare seduto per il bruciore e in quel momento capisco di essere già sconfitto, non sono più in grado di concentrarmi sulla partita e lei lo sa benissimo. Mi ha in pugno e potrà decidere anche la durata del mio calvario. Cerco di ritrovare la concentrazione ma perdo un altro pezzo. Prende due clamps con pesi e me le applica ai capezzoli. Ride. Ormai è una disfatta. Perdo una torre. Mi fa posizionare nuovamente alla scrivania e sceglie una frusta di pelle con la sagoma di una mano in cima. Altri dieci colpi e brucia da morire. Inoltre ogni colpo fa oscillare i pesi attaccati ai capezzoli il che rende la terza punizione ancora più dura. Il sedere dopo questi ulteriori dieci colpi è viola. Ma sono costretto a rimettermi seduto al tavolo da gioco. Ovviamente mi fa fuori un altro pezzo, si sta divertendo. «Ora ti metti a quattro zampe caro il mio campione di scacchi». Si infila un guanto di lattice e poi prende un tubetto di lubrificante e se lo versa sulla mano. Poi sceglie un grosso plug da un armadio, lo lubrifica e me lo infila fino in fondo senza nessuna pietà. «Torna a sederti ora» mi dice sempre più divertita. Ormai sono senza più nessun controllo; nudo, il sedere dolorante martoriato dai colpi subiti, i capezzoli tormentati dalle pinze, seduto su di un plug che viola le parti più intime e di fronte a me una donna bellissima e sadica che gode della mia condizione degradante. Mi guarda intensamente per attimi che mi paiono un eternità. Poi afferra la regina e attraversa la scacchiera. Nessun epilogo avrebbe potuto essere simbolicamente più carico di significato «Scacco matto! Ora sei il mio schiavo».
Mi sento liberato, tutto quello che ho sempre desiderato è li davanti a me tremendamente reale. Finalmente appartengo a una donna dallo sguardo dolce e fiero che ha saputo piegarmi in modo naturale come nessuna mai. Si avvicina, mi afferra per testicoli e mi trascina in un altra stanza… «vieni schiavo, abbiamo appena iniziato».