scritto da Dasa
pubblicato da Elvira Nazzarri
Mi sveglio, infreddolito e indolenzito, dove sono? Cerco di abituare gli occhi allla poca luce della stanza. Stanza? Ci vuole poco a capire dove sono: le sbarre tutto intorno a me mi rammentano spietate che sono prigioniero. Miagolo Padrona, dove sei Padrona? D’un tratto è tutto chiaro, la prigionia è dentro di me, potrebbero anche sparire le sbarre come d’incanto e potrei essere libero di andare ma non avrei nessun luogo dove andare. Non senza la mia Dea che ormai, da tempo, ha stabilito regole sempre più ferree. Resto in attesa pochi minuti prima di sentire la musica soave dei Suoi tacchi a spillo che preannunciano l’arrivo della mia Divina Signora. A quattro zampe, muovendomi a fatica nello spazio angusto che mi ha riservato, mi avvicino alla sbarra, come un cagnolino, pronto a scodinzolare all’arrivo dlla sua Padrona.
È bellissima, come e più di sempre, il vestito rosso a mezza coscia e le calze di un colore avana. La perentoria riga nera dietro sottolinea, con l’inevitabile spostamento causato dal nylon premoderno, la sinuosa bellezza dei Suoi eleganti polpacci, irresistibilmente eccitanti. Appoggia strafottente un ginocchio alle sbarre e mi ordina di sentirlo, sono commosso e confuso, lo sfioro con un movimento delicato delle guance e ripeto il mantra, Padrona o Padrona. In realta vorrei dire altro, vorrei dire che nudo, al freddo, non so per quanto tempo, ho un impellente bisogno di urinare. Tremo un po’. Il mio schiavo ha freddo, domanda la mia Padrona. Sorride, sa che non posso resistere a lungo in quelle condizioni. Mi piego per trattenermi e la Padrona, sempre con il Suo tono beffardo, mi chiede se devo fare un bisogno. Sì Padrona, è urgente.
La farai come un cagnolino, a quattro zampe nella cuccia. Ti prego no Padrona! D’improvviso il tono della voce si fa più serio, Non puoi mai dirmi di no, Ti punirò per questo ma non adesso, prima voglio godermi lo spettacolo. Si mette comoda sulla poltrona vicina e mi provoca lasciando scivolare il piede dalle décollétées fino a reggerle solo con la punta del piede. Solitamente questo gesto mi causa un’erezione ma non adesso, ho solo l’urgenza di non farmela addosso ma è impossibile, mi accovaccio nell’ultimo disperato tentativo di trattenerla. Secca mi impone di mettermi a quattro zampe e di guardarla. L’amo alla follia, mi è impossibile disubbidirle.
Le prime gocce scaldano le mie cosce e poi comincia a venire giù copiosa, sono avvinto da una tristezza incontrollabile, umiliato osservo la mia sconfitta nel sorriso compiaciuto e severo di Lei. Bene, ho una commissione da fare, ti lascio un po’ da solo a riflettere. La vista dei Suoi fianchi mentre si allontana mi fanno passare tutta la tristezza in un attimo. Sono felice di essermi umiliato fino a quel punto. È quello che vuole la mia Dea e ormai sono solo il Suo gingillo. Non ho residui di dignità, nè ambizioni personali. Vivo degli sguardi compiaciuti di questa donna meravigliosa e sensuale. Le appartengo e sono bagnato, infreddolito in una gabbia in attesa del Suo ritorno. Ma come sono finito lì? Ho tempo per riflettere, mi sono svegliato e ricordo bene.
La sera prima, il venerdì, mi aveva ordinato di presentarmi da Lei nel pomeriggio del giorno dopo. Era stranamente vestita in jeans. Gli immancabili tacchi alti di sandali con giusto il cuoio necessario a tenere il piede fermo, per il resto esposto al desiderio incontrollabile dei miei occhi rapiti. Addosso una maglietta rossa adrente a maniche lunghe. In ginocchio davanti alla Dea, eseguii l’ordine secco e austero. Annusami i piedi schiavo. Perdo totalmente il controllo quando usa quella parola, sa bene quel che dice e la Sua voce sa incutere timore oltre che sedurre. La fragranza era più pungente del solito, da perdersi senza desiderio di ritrovarsi. La Dea aveva deciso di farmi il più grande regalo, lasciarsi adorare subito dopo l’esercizio fisico quotidiano. Ancora accaldata per la corsa e sapida del Suo divino sudore, si era concessa alla mia adorazione, ben conscia che avrebbe impresso una svolta poderosa alla nostra relazione. L’odore mi entrò insidioso nelle narici, si impossesso del mio cervello e, distintamente, percepii il momento in cui venni travolto. Per nessun motivo al mondo mi sarei tolto da quella situazione. Mi ordinò di mostrarLe tutta la mia devozione baciandoLe i piedi. Non so per quanto tempo sia rimasto in adorazione alternata a contemplazione dei Suoi piedi. So solo che quando sentii la Sua voce dire basta non avevo nè la forza di allontanarmi dai Suoi piedi nè la volontà di resistere. Confuso la guardai dal basso in alto, era splendida.
Fu così che, per la prima volta, mi mise il collare e tirato dal guinzaglio mi trovai a seguirLa a quattro zampe. Legato con le braccia levate e in ginocchio al centro della stanza, poteva muoversi davanti e dietro di me. Mi frustò a lungo, tanto a lungo da sentire quasi la pelle in fiamme, consolandomi di tanto in tanto con sapienti giochi sui capezzoli e lasciandosi annusare le ascelle. Un sollievo perverso, un circolo vizioso. Era il Suo odore irresistibile che mi aveva messo in quella situazione ed annusarLa ancora serviva solo ad incrementare la sensazione di abbandono, a rendermi più docile, se mai possibile.
Dopo l’estenuante fustigazione, mi slegò e mi fece distendere a faccia in su. Dal basso la vidi spogliarsi, rimanere solo in mutande ed i piedi scalzi. Li passò sul mio petto, uno alla volta mentre La osservavo rapito, sbirciando ai lati della testa dove il piede d’appoggio si offriva in tutta la bellezza del Suo arco ingegnoso. Poi si chinò, l’odore piu invadente e deciso del Suo sesso su di me. Il rumore della lycra accompagnava ogni piccolo movimento e infine il miracolo, ripetuto ogni volta, delle Sue dita sul mio petto. Mi fece liberare quasi soffocandomi e strappandomi il petto. Un orgasmo poderoso, scomposto e nervoso che mi fiaccò definitivamente.
Mi fece ripulire con delle salviette e, ripreso per il guinzaglio, mi trascinò, ancora ansimante, dentro la gabbia, la stessa gabbia dove mi sarei trovato al risveglio. Una volta chiuso il lucchetto mi guardò soddisfatta. Molto bene schiavo, adesso andrò a fare la doccia e mi cambierò. Tu non muoverti. La risata, spontanea e argentina, mi deliziò le orecchie ma turbò l’animo. Ero Suo davvero. Mi avrebbe rilasciato in tempo per l’impegno serale con gli amici? Perduta ogni cognizione del tempo, avrei vissuto tutto il weekend in balia della mia adorata despota, incurante del resto del mondo, pronto a tutto pur di darLe soddisfazione. Pronto a tutto pur di poter sentire ancora una volta, anche solo per un istante, l’odore avvolgente del Suo splendido corpo. Sono Tuo mia Divina.