Scritto da schiavo amos
Pubblicato da Elvira Nazzarri
Come quasi sempre ultimamente gli ordini arrivavano asciutti e improvvisi sulla mail con la quale ci tenevamo in contatto.
«Venerdì devo essere alle 13:45 in via Rezia, 8. Fai da autista».
Non era la prima volta che mi chiedeva di accompagnarla ma da quando si era trasferita e aveva dato una svolta al nostro rapporto, quelle che una volta erano la richiesta di un favore erano diventati veri e propri ordini.
Le chiesi maggiori ragguagli sugli orari per potermi organizzare con i miei impegni e mi disse che avrei dovuto aspettarla per un’ora e mezza e poi riaccompagnarla a casa.
Guardai con Google Maps per capire dove fosse e quanto tempo ci volesse per il viaggio e guardando con Street View vidi che al civico indicato c’era un’anonima palazzina di appartamenti anni ‘60. Di fianco una piscina. Cominciai a chiedermi cosa dovesse andare a fare in quel posto, so che non nuota quindi la piscina era da escludere e il palazzo non sembrava potesse essere la sede di un qualche studio specialistico.
Qualche giorno dopo, consumato dalla curiosità provai a chiedere per cosa dovessi accompagnarla. «Un massaggio. Un regalo.» mi disse.
Mi parve una risposta molto strana ma conoscendo bene la mia Padrona sapevo che aveva l’abitudine di giocare al gatto col topo con la tecnica del dire e non dire. L’avermi fatto intendere uno sviluppo lesbo aveva il suo fine. Anche solo quella di farla divertire.
Eravamo rimasti d’accordo che sarei passato a prenderla alle 13:10 ma due ore prima dell’appuntamento mi mandò un nuovo messaggio. «Dopo vieni 20 minuti prima».
Parcheggiai sotto il suo appartamento e la chiamai. Mi rispose e disse: «Sali!». Appena entrai fui assalito dal dubbio. Secondo le regole di sottomissione che aveva stabilito quando entravo nel suo appartamento la prima cosa che dovevo fare era mettermi nudo. Ma dovevamo uscire a breve quindi pensai che questa volta non servisse. Mi guardò per qualche secondo senza parlare. Poi disse: «Ultimamente prendi troppe iniziative e poi ti lamenti troppo quando ti do alcuni compiti da svolgere. Nudo!».
«Ma non dobbiamo andare?» ribattei.
«Secondo te perché ti ho detto di venire prima? Per chiacchierare?».
Mi spogliai, poi mi disse di seguirla. Entrammo in soggiorno e sul tavolo c’erano appoggiati una cinghia e un plug corto ma decisamente largo.
Ci avvicinammo al tavolo e prendendo in mano la cinghia mi disse: «Questa e per le lamentele dei giorni scorsi, quando ti do un compito non voglio sentire storie». «Questo invece», disse indicando il plug, “serve per il nuovo training anale, dopo la delusione dell’altro giorno quando per punizione ti ho ordinato di infilarti una lattina di coca nel culo e non ci sei riuscito… Mettiti a quattro zampe!».
Prese la cinghia e iniziò a colpirmi forte sulle natiche. Mi diede una serie di cinghiate in sequenza e poi ogni tanto si interrompeva per redarguirmi. «Vediamo se così ti entra in testa come si deve comportare uno schiavo. Quando ti do un ordine lo devi eseguire subito e senza mercanteggiare, non siamo al mercato». Dopo cinque minuti di quel trattamento avevo il sedere pieno di segni e in fiamme.
Poi si mise un guanto di lattice e dopo avermi lubrificato e allargato con le dita prese il plug e me lo infilò. «E ora rivestiti che andiamo».
«Come? Devo uscire con il plug?» le dissi incredulo.
«Certamente, così iniziamo ad allargarlo a dovere hahaha». «Non avevo mai pensato a questa opzione ma devo dire che l’idea di portati in giro così quando usciamo la trovo particolarmente spassosa. Mi sa che la facciamo diventare una piacevole abitudine. Così ti senti bella sottomessa anche quando siamo in giro e hai la tendenza ad alzare troppo la cresta».
Mi rivestii in silenzio e poi uscimmo. Sul pianerottolo ad attendere l’ascensore incontrammo la vicina della mia Padrona. Anche se il plug era celato dai vestiti mi sentii in forte imbarazzo, lo sentivo che mi apriva ed essere al di fuori dell’intimità dell’appartamento mi faceva sentire esposto. Poi ad amplificare il tutto ci pensava Elvira con sguardi complici e sorrisini trattenuti.
Camminare poi, se possibile, era ancora più umiliante.
Ci sedemmo in macchina, il sedere mi bruciava e il plug spingeva ancora di più, e dopo che fummo partiti mi disse: «Scommetto che è da cinque giorni che ti starai chiedendo dove devi accompagnarmi. E che la storia dei massaggi ti ha lasciato perplesso. Vero schiavo?».
«Beh, si» ammisi.
«Mi stai portando da Armando, uno che ho conosciuto da poco, ho voglia di farmi trombare per bene. Sua moglie è una bella gnocca 35enne che ho conosciuto, mi ha fatto dei massaggi e naturalmente con il tempo è diventata una mia schiava. Poi una volta ho visto le foto di suo marito e l’ho obbligata a offrirmelo. Dovresti vedere che cazzo imponente che ha… e poi ha la resistenza di una fucking machine. Mica come quel tipo di Venezia che conosci bene…»
La notizia e il suo modo così diretto e naturale di raccontare mi lasciarono senza parole. Provai uno stranissimo miscuglio di sentimenti intrecciati. Ero geloso per quello che provavo per la mia Padrona e per quello che ci aveva legato in passato ma ero anche eccitato per quello che mi stava facendo e per come lo stava facendo. Un conto poi è sapere o immaginare che la donna che ami, ma che per diversi motivi non puoi possedere, abbia delle relazioni, un altro è accompagnarla di persona ad un appuntamento di carattere sessuale.
Arrivammo a destinazione e parcheggiai proprio davanti a portone del palazzo. «Bene ora rimani qui fino a quando non torno, a dopo». Scese, suonò al citofono e la vidi scomparire dentro al portone.
L’immaginavo fare e dire cose che io avevo sempre sognato e che non avevo mai potuto avere.
L’essere li seduto in macchina all’oscuro di tutto, con un plug che mi apriva mi faceva sentire sottomesso come non mi ero mai sentito in vita mia.
Eppure tutto questo mi stava anche eccitando e non capivo. Non avevo mai avuto questo genere di fantasie. Forse la mia Padrona mi stava trasformando, oppure stava solamente tirando fuori qualcosa che era li nascosto. Come quando mi aveva umiliato davanti al suo amico avvocato facendomi leggere il contratto di schiavitù. Avevo sempre abborrato l’idea che un altro uomo mi vedesse in quelle condizioni, invece… Oppure era solo il mio desiderio di appartenerle e compiacerla in tutto che mi faceva piacere di essere portato a quel livello di degradazione.
Il pensiero che dietro quelle mura a pochi metri da me la donna che amavo si stesse facendo scopare da un altro mi agitava.
L’immaginazione prese prepotentemente il sopravvento e la mia mente incominciò a costruire ciò che avveniva in quel momento. Lei appena varcata la soglia dell’appartamento si avventò sulla sua preda spingendolo contro il muro, gli infilò la lingua in bocca e contemporaneamente gli mise la mano sul cazzo per verificare che fossa già duro. L’uomo infilò la mano sotto la gonna è sentì le mutandine che erano letteralmente fradice. Lei era talmente eccitata che gli umori gli colavano lungo le cosce. Lui allora preso dalla foga la prese e la buttò su un grosso tavolo strappandole la gonna e mutandine e si lanciò come una animale affamato tra le cosce di Elvira leccando avidamente gli umori dalle gambe e risalendo lentamente verso la loro fonte. Un po’ la leccava e un po’ le risucchiava tra le labbra il clitoride. La fece venire quasi subito. Lei però non era soddisfatta, anzi quello era stato solo un antipasto quindi prese il cazzo dell’uomo e gli fece un pompino magistrale. Alternava una abile lavoro di lingua stimolandolo nelle zone più sensibili a ingoiarsi l’intero cazzo, facendolo scomparire tutto all’interno della bocca. Però stava molto attenta a non farlo venire, voleva eccitarlo fino a vederlo impazzire. Lei era pur sempre una donna dominante e voleva avere sempre in mano lei il pallino del gioco, anche quando scopava.
E adesso aveva deciso che era il momento di farsi scopare, si mise a quattro zampe e ordinò all’uomo di farsi montare da dietro. Amava quella posizione perché sapeva che la visione del suo culo perfetto faceva eccitare gli uomini…
Ero perso nei meandri di questi pensieri quando il telefono squillò. Era la Padrona. Risposi e la setii gemere. «Mmmmm, lo sai cosa mi sta facendo Armando in questo momento? Mi sta montando da dietro come una vacca e adesso gli darò anche il culo. Mi sta facendo godere come non mi è mai successo. E poi l’idea di te geloso li in macchina ad aspettarmi con un plug infilato nel culo mentre scopo con un altro uomo mi fa bagnare in maniera quasi imbarazzante. E non sai le risate che ci siamo fatti quando l’ho raccontato ad Armando». Riattacò.
Dopo un ora e mezza la vidi riapparire dal portone e salì in macchina. «Ora voglio che ti tiri giù pantaloni e mutande e guidi così. Forza, andiamo a casa». Ero veramente imbarazzato e ogni volta che ci fermavamo a un semaforo avevo il terrore che qualcuno potesse vedere dentro. Cercavo allora di coprirmi con le mani ma appena lo facevo la Padrona me le spostava. Poi disse «Se provi a coprirti ancora una volta ti faccio togliere tutto!».
Quando ci si accostava un camion mi sentivo veramente sprofondare dalla vergogna e i secondi che mi separavano dal ripartire mi sembravano ore. Era una tortura terribile.
Poi cominciò a raccontarmi i particolari di quanto successo poco prima in modo estremamente diretto ed entrando nei particolari. «Hahahahaha, quindi sei geloso del fatto che sono andata a farmi scopare da un altro? Mmmmm, eppure il tuo cazzo sembra dire il contrario… Non hai idea di quanto mi diverte vederti guidare con il cazzo duro e un plug nel culo. Oggi direi che abbiamo scoperto una nuova perversione dello schiavo. Ma quante ne hai? Sei proprio una piccola puttana. Ti eccita essere cornuto vero?». Proseguì in questo modo sbeffeggiandomi fino a casa.
Arrivati mi ordinò di parcheggiare e seguirla nel suo appartamento. Appena entrati, come di consuetudine, mi dovetti mettere nudo. Poi mi disse di seguirla in bagno dove riempì di acqua un bidet di porcellana. Si spogliò e inizio a farsi un bidet. Si lavò molto accuratamente, poi si alzò e disse: «Ora schiavo, ti bevi tutta l’acqua del bidet con i miei umori e forse tutto il resto». Da un lato la cosa mi disgustava profondamente per l’idea del resto ma contemporaneamente il cazzo mi venne duro come il marmo per questa ennesima umiliazione. Cercai di pensare solo agli umori vaginali della mia Padrona e bevvi fino all’ultima goccia. Lei si godette la scena toccandosi. Poi disse: «Questa volta ti permetto di godere, fatti una sega sui miei piedini, puttana». Venni dopo pochi colpi. Mi caccio il piede in bocca. «Pulisci!». Dovetti leccare via tutto finché non furono perfettamente puliti.
«Ora puoi andare schiavo, ci vediamo lunedì per le pulizie».