Mistress Elvira

Istinto dominante

Esistono diversi modi attraverso i quali rapportarsi con gli altri in società. Uno di questi è l’essere dominante. Spesso, questo atteggiamento, viene considerato poco apprezzabile in quanto associato a una mancanza di rispetto o a una prevaricazione verso gli altri.  Io non sono del tutto d’accordo, si può essere molto dominanti con maniere garbate, determinazione e sicurezza nelle proprie capacità. L’arroganza, l’aggressività e la villania sono altre cose che non mischierei con questo concetto.

Alcune culture vorrebbero appiattire la dominanza rendendo tutti alla pari, ma non è questa la via naturale delle cose. In natura il concetto di dominanza ha molta importanza, soprattutto per tramandare geni eccellenti. Molti soggetti sono dominanti istintivamente, altri ci arrivano passo per passo, grazie all’ambiente circostante. 

Essere dominante è un insieme di qualità mentali e fisiche complesse. Una parte è determinata da geni tramandati, come lo è anche nel mio caso. Precedentemente ho illustrato la ragnatela relazionale dei nonni e dei miei genitori. Gli amanti della astrologia includerebbero anche il mio segno fortemente dominante e il resto del quadro è rappresentato dall’ambiente circostante. Ho già resa nota l’estrema facilità con cui sottomettevo i miei amichetti, ma quelle erano le conseguenze dell’ambiente in cui crescevo e delle mie conquiste più significative rispetto a loro. Facevo fatica a vederli come conquiste valide. Volevo di più.

In famiglia

I  primi sospetti di detenere un certo potere li ho avuti in famiglia. Notavo che c’era una determinata gerarchia rispettata, con a capo mio nonno, un uomo estremamente rigido, severo, dominante e inflessibile. Per niente affettuoso. O, meglio, affettuoso a modo suo. Era una di quelle persone che non abbracciano mai nessuno, né dicono paroline dolci, ma quando hai bisogno ci sono. Nessuno, nemmeno al lavoro o nei circoli sportivi da lui frequentati, osava contraddirlo. Era piuttosto temuto ma anche molto rispettato. Mi ha cresciuta con l’educazione e regole dettate dalla sua generazione e non so quanto considerasse che fossi una femminuccia. Direi che l’educazione ricevuta era piuttosto da maschietto. Non c’erano scuse valide contro le sue aspettative, nemmeno dettate dalla mia fisicità gracile a quei tempi. Io dovevo cavarmela sempre e comunque, diceva. Niente a che vedere con le gentilezze e le smancerie di mio padre verso il gentil sesso. Tuttavia, io avevo molti privilegi che gli altri mi invidiavano. Potevo permettermi molti affronti alle sue regole.  Potevo diventare irrispettosa anche verso i suoi fratelli e comandarli come fossero dei compagni di giochi. Ero l’unica che lo poteva accompagnare a caccia (trascinando il fucile pesante), che poteva sedere al suo posto a capo tavola, sprecare il cibo (cosa che per uno che ha avuto un’infanzia durante la guerra era intollerabile), prendere le pietanze migliori senza lasciare nulla agli altri, sparire anche per l’intera giornata e non rendere conto a nessuno. Mi sono fatta regalare numerosi animali da lui; anche un bellissimo pavone. Vedere gli altri che subivano e sapere che io potevo abusare della mia posizione privilegiata senza essere punita mi dava una sensazione di potere. Soprattutto con il rinforzo del risentimento da parte degli altri. Ancora oggi i suoi figli, compresa mia madre, mi rinfacciano queste cose. Io ero la sua cerbiattina e tutto potevo.

Non sono mai stata una di quelle bambine super protette dai genitori. Anzi, loro erano degli irresponsabili. Mio padre, feticista e collezionista di donne, era assente. Mia madre era una ragazza incapace di prendere decisioni. Ho dovuto crescere in fretta e fare da maschio in casa. L’unico vantaggio? Potevo sempre fare quel che pareva a me.

Con mia madre avevo continui tira e molla con lo stesso risultato finale, lei cedeva e io ottenevo ciò che desideravo. Talvolta prendevo anche la mia minuscola valigia, la riempivo di un cambio di vestiti e l’immancabile peluche a forma di drago. Mi portavo dietro anche il cane e me ne andavo via di casa. Spesso finivo a passeggiare nei boschi o prendevo l’autobus per andare nella città più vicina. Era il nonno che mi riportava indietro.

Mio padre non c’era e mia madre non aveva certo la forza per contraddirmi. Ero sommersa dai regali da parte di mio padre, li vedeva come una sorta di risarcimento per le sue latitanze. Sotto quest’aspetto ero viziata. Anche lo zio, mi regalava spesso gioielli e mi portava all’ippodromo del trotto perché volevo vedere i cavalli. Lui era talmente debole che dava delle super paghette anche a me per non far differenza tra me e i suoi figli, deve essere conseguenza di qualche mia frasetta. Dispensavo sentenze e verità in una maniera sorprendente. Poi sono cresciuta, mi sono ribellata ai favori da parte dei miei familiari e sono anche arrivati tempi duri, ma questa è un’altra storia.

Ricordo che ho dovuto imparare cose fondamentali dagli altri invece che dai genitori. Il nodo alle scarpe me l’ha insegnato il capo dei vigili del fuoco. Andare in bici l’ho imparato da un vicino, che faceva l’ingegnere edile e per diletto faceva ciclismo. Il bisnonno mi ha aiutato a imparare a leggere prima di andare a scuola ed il principale di mio padre a fare i conti. Ero quasi abbandonata, ma io non la vedevo così, avevo bassa considerazione dei miei genitori, preferivo chiedere agli altri.

Spesso i miei genitori mi volevano convincere ad andare alle giostre invece che andare a scuola. Ma siamo matti! Mica mi potevo permettere di saltare gli impegni importanti per farli divertire. Tendevo a drammatizzare le conseguenze. Per chi se lo chiedesse mia madre intorno i suoi quarantacinque anni e mio padre intorno la settantina non sono ancora maturati.

 A scuola

A scuola volevo sperimentare la stessa prepotenza verso le maestre. Mi odiavano. Ero troppo saccente e facevo troppe domande. Mettevo in dubbio ogni cosa ed ero sempre la prima della classe. La cosa che non capivo era, come potevano insegnarci le maestre cose che sarebbe stato meglio chiedere, per esempio, a un medico o a un ingegnere, oppure a uno scrittore. Non le consideravo qualificate per il loro lavoro. Per capire e approfondire bisogna rivolgersi a un esperto, non a uno che ha studiato una parte delle cose. E se fossero state realmente brave, perché si limitavano a insegnare alle scuole invece che inventare nuove soluzioni? Questi erano i miei pensieri già a quei tempi. Mi tormentavano, trovavano dei modi per punirmi anche fisicamente, ma io non mi piegavo. Tendevo sempre ad affascinare chi comandava, per avere l’assoluta libertà di agire come mi pareva. Anche all’università, all’esame finale, ho avuto qualche problemino perché ho corretto un professore della commissione (ho fatto il triennio all’estero, la prova finale consisteva in quattro temi pescati a caso tra quelli studiati in tre anni interi). Ma io mi ero già lavorato il presidente della commissione e l’esterno, esponendo la mia tesi sui programmi della Commissione Europea. 

All’università, sia quella estera, sia quella italiana, mi sono laureata tra i primi del mio corso e facevo gli esami nelle prime date possibili, non avevo tempo da perdere. La determinazione fa parte del mio carattere. Sono in costante ricerca di sfide e di novità. Di dati e di conoscenze. Ossessionata dal dare il meglio di me e dal sapere. Voglio sapere tutto quello che si può sapere e raccolgo il know how da tutti quelli che stimo riusciti nel loro campo.

Altri 

Non ho limitato il mio campo d’azione ai parenti, amici o a scuola. Esercitavo prepotenze anche con i superiori di mio padre. Lui era instabile, cambiava progetti di lavoro spesso. Ha cambiato vari business in proprio, ha avuto liti tremende con i soci; è una persona incapace di instaurare legami duraturi e solidi. Quando io ero ancora in età scolare, ha dovuto accettare qualche lavoro da dipendente. Ma anche in quei casi, resisteva qualche mese e poi si licenziava. E io cosa facevo quando mi portava al lavoro? Andavo ad attaccare bottone con il capo… ero sempre stata affascinata dallo “studio” di figure autoritarie, erano una sorta di cavia da osservare. Alcune volte provavo enorme antipatia per il soggetto in questione. Ovviamente, non avevo filtri, lo dichiaravo chiaramente per vedere la reazione. A un tale ho detto che era un villano. Aveva modi bruschi. Se lo meritava. Un altro, invece, l’ho corretto nel parlare: un affronto ancor peggiore… C’era un altro ancora che mi cedeva il posto quando entravo in ufficio. Lui si alzava e io mi facevo portare dei succhi di frutta. Immancabilmente, scartavo almeno due gusti prima che mi andasse bene quel che mi offriva. Mi piaceva occupare la sua scrivania e farlo stare seduto in una di quelle poltroncine scomode. Ricordo in  un altro posto di lavoro, che mi mettevo alla scrivania del capo e chiamavo il contabile per chiedergli di portarmi il chinotto. Quanto mi odiava quell’uomo. Il capo, invece, se la rideva. Un altro, invece, l’avevo convinto a farmi trovare ogni volta un regalino e le caramelle che desideravo. Poi c’era stato il mio preferito, che mi faceva un sacco di regali. Probabilmente perché ho sottomesso il suo cane, che era cattivo con tutti tranne me. O forse perché temeva per la mia sicurezza dato che ero ai tempi dell’asilo e il cane non era per nulla raccomandabile. Una volta mi sono messa in testa che avrei voluto la stessa macchina che si era appena preso, una Ferrari. Mi ha fatto trovare una mini Ferrari a pedali. Ho una certa nonchalance nell’essere persuasiva.

Crescendo, mi sono divertita a puntare al ragazzo più ambito, affascinarlo e rifiutarlo. Solo per marcare bene le mie capacità.

Ci sono molte altre figure forti con cui mi relazionavo da giovane. Uno dei miei miti era un primario del reparto di neurologia che viaggiava molto, andava spesso negli States e aveva una clinica privata in Germania. Lui mi trattava come fossimo pari, non pensava che fossi limitata dato che ero solo una bambina, anzi mi forniva sempre le risposte in modo esaustivo. Le figure a cui mi rivolgevo e che diventavano i miei riferimenti erano sempre uomini più grandi di me, intorno alle cinquantina. Li trovavo stimolanti, interessanti e loro invece mi rispettavano. Spesso mi ammiravano per questa mia voglia di sapere tutto. Forse si sentivano apprezzati, conta molto per l’autostima delle persone. Non mi sono mai sentita il sesso debole. Non credo di avere lacune nelle mie qualità e capacità. Si può arrivare ovunque con l’impegno e con la forza di volontà. Basta credere in se stessi. 

In tanti mi dicono che io sono quel tipo di persona che non ha bisogno di nessuno e se la cava sempre in ogni situazione. Ho grandi capacità di adattarmi agli imprevisti. Molti mi rinfacciano che faccio sempre di testa mia; che, ascolto ma poi faccio quel che pare a me. Sono sempre stata libera di fare quel che volevo senza condizionamenti né restrizioni. Non posso certo cambiare di colpo. 

Non è da tutti puntare al soggetto più forte in un determinato ambiente e trattarlo da servo o sfidarlo. Spesso sono molto dispettosa, giusto per sondare le conseguenze. Sono anche curiosa di dove posso arrivare. Mi definirei un’equilibrista dei limiti delle persone, spesso li sfioro e vado a cercarli con la consapevolezza del fatto che non sempre potrà andarmi bene.

Dal mio punto di vista un dominante è una persona reattiva, che non si arrende, tenta la sorte, sfida, sperimenta nuove cose, mantiene il fisico, cerca costantemente nuovi obiettivi, non si arrende mai, va contro corrente, ha stima di sé e delle proprie qualità. Sa che nulla piove dal cielo e le cose bisogna guadagnarsele attraverso il proprio impegno. Nel raggiungimento dei propri obiettivi non esistono i perché no, le scuse e le paure. Il dominante è consapevole che il progresso è necessario. Il dominante non abusa del proprio potere con i deboli e sconfigge l’avversario con onore.  

Io sono dominante perché ho ascoltato il mio istinto, ho avuto delle risposte positive dall’ambiente e ho visto i risultati del mio comportamento. Ho avuto modo di assecondare il mio modo d’essere grazie all’enorme libertà avuta durante la crescita. I geni sono una componente fondamentale, ma se non ci sono riscontri nell’ambiente e se non si ha la certezza di essere rispettati e di avere tutte le qualità necessarie per riuscire in ogni campo, difficilmente si svilupperà una personalità dominante

Un dominante è un combattente per natura. Ogni dominante ha bisogno di uno scontro con un altro dominante per progredire. Un dominante ha una storia ricca di battaglie e di ostacoli affrontati nel migliore dei modi. Chiamiamoli scalpi. Anch’io ne ho tanti alle spalle. Essere dominanti non è una brutta cosa, anzi. Se i vostri figli hanno personalità dominanti non castrateli mentalmente, ma trovate il modo di dare sfogo a questa natura in un’attività creativa e supportatela dando loro il giusto equilibrio.