Scritto da schiavo amos
Pubblicato da Elvira Nazzarri
Avevo appena finito di lavare i pavimenti dell’appartamento come ogni venerdì quando sentii il rumore delle chiavi che aprivano la serratura della porta d’ingresso.
Erano ormai tre mesi che due volte a settimana, il lunedì e il venerdì, la Padrona aveva deciso di usarmi per i lavori domestici. Aveva anche deciso che lo svolgimento dovesse essere il più umiliante possibile, così aveva definito che lo dovessi fare sempre completamente nudo. I pavimenti poi non li potevo pulire con lo spazzolone ma dovevo farlo in ginocchio con straccio e spazzola.
Inoltre, quando come oggi non era presente, mi aveva imposto che lo facessi con alcuni “handicap” che mi lasciava scritti su un post-it all’entrata; «Così senti la mia presenza anche quando sono assente», mi aveva spiegato. Oggi l’indicazione era stata: «Mettiti il plug che trovi sul tavolo della cucina. Lo so, è un po’ più grosso del tuo standard, ma così ti serve da allenamento… e poi la ball-gag, mi piace pensarti così mentre pulisci. E poi così ricordi bene di essere la mia sguattera sottomessa».
Dopo il rumore delle chiavi sentii la porta che si chiudeva e poi il suono dei suoi passi sul pavimento. Mi misi subito come pretendeva che attendessi il suo ritorno appena avevo finito i compiti assegnati: in ginocchio con la faccia a terra.
La vidi venire verso di me, poi mi si fermò dietro. La sentii premere con forza con lo stivale sul plug. Io mugolai. Continuò così per qualche minuto mentre faceva una telefonata, poi mi tolse la ball-gag. «Allora? Ti è piaciuto fare le pulizie così?» «Non è stato facile Padrona» le risposi. «Era molto più grosso di quanto mi ha abituato finora».
«Ma va che sei una troia, sono sicura che ti è piaciuto.» Mi disse sarcastica: «Dovresti piantarla di fare il sostenuto e ammettere apertamente che ci godi ad essere trattato come una cagna. E poi devi imparare a godere anche da li perché lo sai, quella oramai è la tua fica, e io la pretendo sempre pronta e accogliente. Sei un ingrato, ti sto facendo un piacere e tu ti lamenti, dovrei riempirti di frustate per questo».
«Ha ragione Padrona» ammisi con tono sommesso.
«Senti, domani sera alle 18 vorrei che ti liberassi. Ho organizzato un aperitivo con degli amici qui da me e mi piacerebbe ci fossi anche tu. Ti va?»
Provavo sempre un grande piacere quando mi chiedeva di accompagnarla in giro, per pranzi, cene o shopping. Mi sentivo un privilegiato e godevo segretamente degli sguardi degli altri uomini carichi di invidia nei miei confronti e di desiderio nei suoi. Però questa sarebbe stata la prima volta che mi avrebbe presentato qualcuno che conosceva. Provai una piacevole sensazione di orgoglio e glielo dissi.
«Bene, mi fa molto piacere, allora ricomponiti, sistema tutte le ultime cosette e a domani.»
Il giorno dopo mi recai puntuale all’appuntamento. Quando arrivai gli altri invitati erano già li. Fece lei le presentazioni: «Lui è Amos, siamo amici da tanti anni». «Loro sono Anna, Francesca, Marika e Alessandro».
Anna e Francesca erano due giovani donne che dovevano avere più o meno l’età di Elvira. Marika era una donna più matura, circa sulla cinquantina ma ancora molto piacente. Alessandro invece doveva avere superato i sessanta. Uno strano amalgama a prima vista. Chissà cosa avevano a che fare gli uni con gli altri pensai.
Ci pensò Elvira a rompere il ghiaccio, ad intavolare e ad indirizzare sapientemente le conversazioni e, complice anche qualche drink, l’atmosfera divenne in breve piacevole e rilassata.
Poi, come un fulmine a ciel sereno la serata svoltò. «Sapete», disse Elvira, «Amos è il mio schiavo!».
Vi furono alcuni secondi di silenzio accompagnati da sguardi interrogativi. Io ebbi quasi un blocco cardiaco, non potevo credere che l’avesse detto di fronte a tutti. Certo sul contratto che avevamo stipulato c’era una clausola che le permetteva di usarmi in presenza di altre persone ma dentro di me pensavo non sarebbe mai arrivata a tanto. E soprattutto di fronte a persone ignare del nostro rapporto particolare.
Il silenzio venne interrotto da Francesca che chiese: «Ma cosa intendi esattamente per schiavo?».
«Intendo dire che Amos ha firmato un contratto che lo impegna per il resto della sua vita a servirmi, è semplice. In poche parole è come un oggetto di mia proprietà del quale posso disporre come più mi aggrada.
«Ma dai Elvira, ci stai prendendo in giro? La schiavitù è roba di altri tempi». Ribattè Anna.
«Hai ragione, infatti la schiavitù di Amos non è un’imposizione, ma una scelta. Non dovete pensare a una schiavitù imposta, è una forma di schiavitù mentale».
«Cioè, è una specie di gioco sadomaso?»
«No, non è un gioco. E’ reale. ».
«Perché non glielo spiegi tu Amos?».
Mi sentii tutti gli sguardi addosso e una sensazione di fortissimo imbarazzo mi paralizzava. Non sapevo cosa dire perché non ero preparato a questo.
Incrociai gli occhi di Elvira che mi guardava seria. «Allora? Hai perso la lingua? Perché non spieghi ai miei ospiti cosa significa essere il mio schiavo?».
Mi sembrava una situazione surreale.
«E’ che non… mi aspettavo…non…s-so…c-come spiegare» farfugliai in preda alla confusione più totale.
«Allora facciamo così» disse Elvira, «visto che non sei in grado di spiegare diamo una bella dimostrazione…»
«SPOGLIATI!!!»
«C-cosa?!?»
«Cosa non ti è chiaro? Togliti tutti i vestiti, subito! E non farmelo ripetere altrimenti verrai punito qui davanti a tutti».
«Ma dai Elvira, non credo s-sia una c-cosa fattibile».
Vidi tutti che osservavano questo dialogo in silenzio. Poi guardai la mia Padrona che mi fissava determinata. Conoscevo quello sguardo, non avrebbe ceduto. Si alzò, venne verso di me e mi diede un gran ceffone.
«Ah, non credi? Non credi di essere il mio schiavo quindi? Ho detto mettiti COMPLETAMENTE NUDO ORA! E dopo sarai anche punito davanti ai miei ospiti come ti avevo avvisato! Ti ricordo che hai firmato un certo contratto… e poi ho anche alcune tue foto che vorrei evitare di rendere pubbliche…».
Subito dopo arrivò un altra sberla.
«E questo è per avermi mancato di rispetto, tu ti rivolgi a me solo chiamandomi Padrona, hai dimenticato le regole? ORA NUDO!».
Ammutolito e scosso dagli schiaffoni capii che discutere avrebbe peggiorato sempre più la mia situazione e ben sapevo che quando la facevo arrabbiare la mia Padrona diventa veramente implacabile, come quando tempo fa in risposta a una mia scenata di gelosia mi fece credere di avermi abbandonato per una settimana. Fu un inferno. Cosi mi alzai e con uno sforzo di volontà enorme incominciai a spogliarmi di fronte a tutti.
Cercavo di non guardare le persone presenti ma mi sentivo tutti gli occhi addosso. Quando rimasi solo con le mutande guardai la mia Padrona per vedere se si fosse impietosita. Lei mi fissò per qualche secondo poi disse: «TUTTO!».
Colmo di vergogna tolsi anche le mutande. Nel momento in cui le abbassai compresi chiaramente di essere entrato in una nuova dimensione della mia sottomissione.
«Ho detto COMPLETAMENTE NUDO!»
Non capivo e con un filo di voce dissi: «Ma… sono nudo Padrona».
«No, non lo sei. SCAPPELLATI! Anche le tue parti intime devono essere scoperte ed esposte alla vista».
Soffocato dall’umiliazione obbedii.
Ho sempre provato un grande imbarazzo a mostrarmi nudo di fronte a qualcuno vestito, la mia Padrona lo sa bene. E stava usando questa mia debolezza portandola all’estremo come dimostrazione di potere. A me e a lei stessa.
Ora ero in piedi di fronte a tutti, avvertivo i risolini tra i presenti che si scambiavano sguardi divertiti. La mia Padrona aveva un’espressione soddisfatta. «E ora schiavo, spiega a tutti i presenti cosa significa essere il mio schiavo!».
Io sapevo benissimo che cosa significava per me quella scelta e perché l’avevo fatta; una parte di me aveva un disperato bisogno di questo, è un istinto a cui non puoi sfuggire. E in fondo era anche un atto di amore per una persona più che speciale, per un amore impossibile perché arrivato nel momento sbagliato della mia vita e che questo era anche un modo per scontare ciò che sarebbe stato giusto dare.
Alla fine era stato una specie di tacito accordo quando avevamo capito che quello che provavamo non avrebbe potuto svilupparsi e crescere come sarebbe stato naturale.
Annullarsi, sottomettersi, farsi umiliare anche oltre la comune decenza aveva una valenza simbolica e ci consentiva di non spezzare la nostra affinità elettiva oltre a dare sfogo ai nostri istinti sommersi.
Ma l’imbarazzo che provavo in quel momento mi bloccava completamente la formulazione di un qualsiasi pensiero di senso compiuto. Avrei finito solo per dire qualcosa di scontato o estremamente banale.
Quindi rimasi li in piedi con lo sguardo abbassato, rosso in volto sperando che la mia Padrona desse fine al mio supplizio.
Cosa che ovviamente non avvenne. Voleva godersi l’esperienza fino in fondo, vedere fino a dove poteva arrivare e alla fine, da qualche parte nel profondo, io ero felice di potergliela offrire.
«Molto bene schiavo, vedo che hai deciso di fare scena muta, quindi continueremo con le dimostrazioni pratiche. Fila nella mia stanza, prendi il cane e torna qui». Mi diede due schiaffoni sul culo e urlò: «MUOVITI!».
Obedii e quando tornai porsi lo strumento alla Padrona.
«Mettiti qui in piedi di fronte in modo che tutti possano vedere. Mani dietro la schiena! Voglio fare una piccola dimostrazione così che tutti possano capire».
Con la punta del cane comincio a tastarmi i genitali e quasi immediatamente si manifestò un erezione.
«Ecco vedete? Questo è il segreto per rendere un uomo uno schiavo, oltre ovviamente a una sua naturale predisposizione; il controllo e la sapiente gestione della sua eccitazione. Archimede diceva “datemi un punto di appoggio e vi solleverò il mondo”. Il principio è simile, datemi il controllo del cazzo e otterrò quello che voglio. Se tutte le donne avessero questa consapevolezza il mondo probabilmente sarebbe un posto migliore».
«E perché ora sta “sgocciolando”?» disse ridendo Francesca.
«Perché, come stavo spiegando, uno dei segreti è mantenerli ben pieni, mediante il controllo degli orgasmi e la sapiente somministrazione di stimoli. E poi perché il caro Amos è una puttanella in calore. Vero Amos? Su, rispondi».
Ogni volta che pensavo di avere raggiunto il culmine della degradazione la mia Padrona sapeva come rincarare la dose e farmi sprofondare a un nuovo livello di umiliazione.
«La prego Padrona» dissi sperando di impietosirla a di dare fine alla degradazione. Lei incurante continuava a toccarmi le zone più sensibili facendomi eccitare. E più mi eccitavo e più mi vergognavo. Una parte di me avrebbe voluto scappare e dare fine a questa durissima prova, ma un’altra, più forte, mi teneva incollato li, incapace di reagire e succube della volontà della mia Padrona. Lei lo sapeva benissimo e godeva nel prolungare il mio supplizio.
E infatti mi ordinò: «Adesso siediti su quello sgabello, gambe aperte! E rimani li in bella mostra fino a nuovo ordine». Mi sembrava di vivere in un sogno, ero stordito da quanto mi sentivo umiliato poi incrociai lo sguardo della Padrona che con la parvenza di sorriso fu come se mi disse: «Hai visto come ti ho ridotto piccolo presuntuoso e arrogante? Ricordi il primo giorno che ci siamo conosciuti quanto te la tiravi? Bene ora guarda come ti ho conciato, disposto a tutto pur di compiacermi».
«Forza, ora alzati! Appoggiati a quella sedia e culo in fuori, assumi la posizione da punizione».
La Padrona si mise dietro di me impugnando il cane e spiegò agli ospiti: «La seconda regola per ottenere la cieca obbedienza di uno schiavo è non lesinare mai le punizioni. Se capiscono che hanno margini di manovra finiscono per diventare svogliati o, men che peggio, pensano di potersene approfittare. Quindi venti vergate, le prime dieci te le darò io, le rimanenti i miei ospiti. Conta ad alta voce in modo che tutti possano sentire!».
Fece sibilare la verga nell’aria più volte e poi cominciò. Mi diede i dieci colpi con forza ma cadenzati, dandomi modo di recuperare la posizione tra un colpo e l’altro. Si sentiva il sibilo della verga che tagliava l’aria, poi il rumore dell’impatto seguito dal mio lamento e il contemporaneo cedimento delle mie ginocchia e infine la mia voce mentre pronunciavo il numero con la voce che man mano che la punizione procedeva era sempre più lamentosa.
«Non ti ho sentito ringraziarmi, schiavo» mi disse appena terminato. «Forza… che sentano tutti!». «Grazie Padrona per avermi ricordato il mio ruolo e come mi devo comportare» dissi umiliato.
Però in qualche modo ero anche sollevato perché quando mi puniva duramente mi immergevo più facilmente nella mia realtà di sottomesso. Ogni colpo che ricevevo era come se servisse a staccarmi dalla realtà quotidiana per farmi scivolare in quella sommersa dove avveniva la catarsi.
«Bene!» disse ridendo. «Ora chi vuole provare?»
«Io!» disse Anna, «voglio provare io».
«Ottimo, mi piace questo entusiasmo, vieni». «E a me piace quanto ho appena scoperto, mi è capitato spesso di fantasticare di sottomettere un uomo ma non credevo che questo potesse andare molto al di la di una sorta di gioco sessuale. Vedere quello che hai appena fatto con Amos è stato a suo modo scioccante ma rendersi conto di possedere questo potere penso sia qualcosa di molto potente. Almeno credo» disse Anna.
«Lo è cara Anna, come neanche sei in grado di immaginare, è una sensazione di potere enorme e una volta che lo hai provato è molto difficile farne a meno». E mentre le parlava passò la verga nelle mani di Anna.
Poi si avvicinò e mi afferrò per le palle trascinandomi bruscamente di fronte al divano dove erano seduti tutti per mostrare i segni che mi aveva lasciato.
«Vedete? Adoro il cane perché lascia questi bei segni netti e in rilievo che permangono per giorni e fungono da monito per lo schiavo».
«Forza, adesso metti le mani dietro alla nuca e fai sporgere bene il culo che adesso Anna ti darà il resto che ti sei meritato».
Le prime tre vergate di Anna non furono dure come quelle che avevo appena ricevuto dalla mia Padrona che subito intervenne correggendo l’aguzzina improvvisata. «Più forte Anna, altrimenti non serve a niente».
Anna non si fece pregare e di diede tre colpi forti e ravvicinati. Caddi in ginocchio implorando pietà.
Allora la mia Padrona le spiegò: «Tra un colpo e l’altro attendi un poco, altrimenti il dolore è terribile, in fin dei conti lo stiamo punendo per un errore di forma, non per una grave mancanza».
Anna mi inflisse le rimanenti quattro vergate e alla fine il mio sedere era ridotto in condizioni pietose. Ma più che per il dolore ero preoccupato per i segni che avrei dovuto gestire nei giorni successivi.
«Ora schiavo chiedi con i dovuti modi ai miei ospiti cosa desiderano da bere e dopo fila in cucina a preparare. Poi torna qui per servirlo».
«Posso chiederle cosa desidera Signora?» mi rivolsi a Francesca. «E lei Signora?» chiesi ad Anna e Marika. Poi dovetti rivolgermi anche ad Alessandro, e li mi pesò ancora di più perché non avevo mai desiderato sottomettermi ad un uomo.
«E per lei Padrona?». «Per me un Martini cocktail, Amos».
Tornai con il vassoio e ricordo bene l’umiliazione di dover servire gli ospiti uno a uno in quelle condizioni, nudo e segnato dalle frustate mentre se la ridevano senza ritegno.
Poi mi fu ordinato di mettermi in ginocchio con le mani dietro la schiena ed attendere in silenzio nuovi ordini.
E mentre ero li in attesa sentivo i discorsi che facevano su di me. La cosa sorprendente era rendermi conto di come fosse mutata la situazione nel giro di qualche decina di minuti e di come influenzano i comportamenti le dinamiche di gruppo. Era come se fossi veramente sceso di un gradino nella scala sociale e parlavano di me come si farebbe per esempio di un animale domestico.
Marika chiese: «E come mai lo tieni nudo? Voglio dire potresti farti servire tenendolo in abiti ordinari». La mia Padrona spiegò: «Certamente, alcuni dei suoi servizi ovviamente li svolge vestito, ma quando siamo in privato il fatto di tenerlo in questo stato ha i suoi vantaggi. Innanzitutto rimarca il suo status. I vestiti sono per noi una specie di corazza, sottolineano la nostra personalità e infondono sicurezza. Il fatto di essere obbligati a privarcene in presenza di qualcuno che invece li mantiene crea una evidente dicotomia. Si prova imbarazzo perché si è senza filtri, ci si sente vulnerabili, ridicoli, accessibili e questo fa aumentare in modo esponenziale il senso di sottomissione.
Nei maschietti poi tutto questo è aumentato dal fatto che è tutto molto evidente… in quelli predisposti ad essere umilati e sottomessi ovviamente, hahahaha. Amos questa cosa poi la soffre in modo particolare ed è anche per questo che oggi ho deciso di dargli questa lezione. Volevo vedere fino a che punto mi è devoto. E non abbiamo ancora finito…»
Quest’ultima frase mi fece correre un brivido lungo la schiena. Nel frattempo la Padrona si alzò e si recò in un’altra stanza.
Rimanere li in attesa senza più la presenza della mia Padrona mi fece sentire ancora più in imbarazzo se era possibile. Per fortuna l’attesa durò solo pochi istanti.
Vidi la mia Padrona che tornava con passo deciso, in mano teneva due falli di gomma e un tubetto di lubrificante. Li butto a terra vicino a me e disse: «Ora ci farai divertire con un bello spettacolino porno».
Ero veramente scioccato ed evidentemente lo si capiva dalla mia espressione. La mia Padrona infatti si fece una grossa risata. Poi disse: «Forza troietta, mettiti in ginocchio alla pecorina, apriti con le mani e mostra a tutti la tua fica spalancata. Rimani li così!».
Poi spiegò: «Lo sto anche ricondizionando all’utilizzo del suo buchetto e ovviamente gli ho cambiato nome, hehehe, cosa necessaria per annientare i suoi istinti virili».
«Ora lubrificati due dita e comincia sditalinarti la fregna che mentre gustiamo il nostro drink ci godiamo lo spettacolo».
Mi veniva quasi di piangere ma siccome sapevo di non avere scelta eseguii il primo ordine in modo impacciato. Una cosa è vivere certe esperienze nelle fantasie, un’altra è farlo nella realtà. Era decisamente una situazione di degradazione estrema.
«Molto bene, adesso prendi il cazzo più piccolo e infilatelo tutto dentro. Poi fallo scorrere dentro e fuori, voglio che ti scopi!»
Ridevano tutti e complice il tasso alcolico e, perché incitati dalla mia Padrona, si lasciavano andare a commenti tipo: «dai più veloce, sfondati la fica, prendilo tutto puttana».
Io eseguivo tutto come un automa, oramai quello che rimaneva della mia dignità era stato completamente polverizzato.
Poi la Padrona: «Ora prendi il cazzo più grosso, vedi che ha una ventosa? Attaccalo a quello sgabello e comincia a spompinarlo per bene, giù fino in gola, fai vedere a tutti quanto sei una zoccola golosa di cazzo. Voglio che lo fai con gusto e poi, quando è bello lubrificato, ti allarghi le chiappe con le mani e ci monti sopra facendoci vedere come ti penetri. E voglio sentirti gemere come una cagna in calore mentre ti sfondi la fica. Fallo lentamente, voglio che tutti vedano bene mentre penetra e ti apre. Avanti, lo voglio vedere tutto dentro come una brava puttanella!».
Intanto rivolgendosi agli ospiti: «Sapete, è da un po’ che ho obbligato Amos a questo training. Tempo fa gli ho fatto comprare un plug da tenere in ufficio. Inizialmente doveva tenerlo 1 ora al giorno e poi, mano a mano ho aumentato i tempi fino ad arrivare a 4-5 ore, anche durante riunioni o spostamenti. E come potete vedere i risultati di questo allenamento sono ottimi».
«Più veloce adesso troia!».
Andai avanti così per 10 minuti credo poi la mia Padrona mi disse: «Credo possa bastare. Ora rimani li seduto e zitto con il cazzo dentro finché non abbiamo finito l’aperitivo».
Rimasi li in quella posizione per una mezz’ora, poi la Padrona mi ordinò:
«Ora sfilatelo, mettiti in ginocchio con la faccia a terra e mostraci il risultato». Si fece una grassa risata. «E’ incredibile, è una voragine, hahahahaha! Ecco, potete vedere, questo è il risultato di un culo sfondato, potremmo sfidarci a pallacanestro e lanciarci dentro delle olive, potrebbe essere divertente no? Peccato che ora dobbiamo uscire, magari lo facciamo un’altra volta».
« Forza, vai a prendere i soprabiti dei miei ospiti che ora, noi, usciamo a cena».
Poi dovetti aiutare tutti gli ospiti ad indossarli. Fu l’ultima umiliazione della serata.
«Tu rimani qui, pulisci e metti tutto in ordine, poi quando avrai finito mi aspetterai in ginocchio dietro la porta finché non torno, schiavo. Per oggi non abbiamo ancora finito».