La relazione dom sub ha degli elementi controversi. L’abbandono totale, incondizionato e ricco di gratitudine dei momenti di gioco raggiunge momenti di tale e tanta intensità da assorbire molte energie. Energie fisiche ovviamente, legate alle prove inflitte, ma anche mentali, per l’imperiosa azione della domina che viola la psiche del sottomesso e ne frantuma ego e resistenze. Non sarebbe possibile senza il desiderio prepotente e incontenibile che la sensualità della mistress scatena, libera per poi controllare a suo piacimento in una combinazione di stimoli inappellabili, repressi un istante dopo. È dunque il desiderio che permette tutto, senza di esso sarebbe impensabile la sottomissione. E la psicologica e la fisica. Senza quel sentimento profondo e struggente di dipendenza come si potrebbe accettare la frusta, le privazioni, le umiliazioni, le reprimende. Come si potrebbe accettare di essere trattati come un bambino privo di discernimento, guidati in tutto, umiliati e puniti secondo il capriccio del momento? Come si potrebbe accettare di diventare un oggetto privo di ambizioni, disposto a tutto pur di dare soddisfazione alla Padrona? Ma cosa accade quando l’eccitazione, fatalmente, svanisce una volta che, se e quando, la proprietaria decide di liberare il Suo oggetto del fardello dell’eccitazione?
Il primo istinto, quello nei minuti immediatamente successivi all’orgasmo, è di oblio. Un momento di piacere in cui lo schiavo, dopo aver offerto il proprio orgasmo alla sua sovrana, particolare da non sottovalutare, riprende per un istante la pienezza della sua identità. È un maschio, gode ed è felice. Tutto quello che lo avevo spinto ad accettare il controllo, la sofferenza e l’annullamento dell’ego è svanito. Nulla esiste se non il proprio intenso piacere, l’abbandono totale, l’energia che fluisce in ogni parte del corpo. La mistress, pur vicina, è lontana anni luce, osservabile in lontananza. Il ritorno a casa poi segna, se possibile, un momento di ancor maggiore distanza. Il viaggio verso casa si popola di pensieri banali: la spesa, preparare da mangiare, vedere amici. Nulla che rimandi alla mistress se non, a volte, la stanchezza e il dolore, il bruciore e la memoria delle privazioni che richiamano la violazione subita.
Ma la ripetizione negli anni dello stesso rituale inserisce un elemento di circolarità che la saggezza induce a interpretare e inquadrare in una qualche logica. Le cose non finiscono per poi ricominciare sempre da capo nello stesso modo. Una sorta di entanglement quantistico per cui una volta legati alla Padrona lo si è per sempre, anche a distanza, anche se apparentemente si è così lontani, fisicamente e spiritualmente da essere fuori dalla sua influenza. Invece come le particelle che continuano a influenzarsi l’una con l’altra, la Mistress e lo schiavo restano legati anche se non sono vicini, anche se la soddisfazione dei sensi rende l’universo della dominazione apparentemente inaccettabile. Diversamente dai fenomeni fisici del mondo invisibile che nessun fisico riesce a spiegare ma si limita ad applicare, l’entanglement femdom si spiega e si spiega anche abbastanza chiaramente. Basta pensare al modo in cui l’orgasmo stesso è generato. Prigionieri di una dominatrice, esso non è espressione della pace alla fine della prestazione. È un momento che appartiene fisicamente allo schiavo ma è governato, diretto e posseduto intimamente dalla padrona. Essa ne dispone i tempi e le modalità e l’abbandono post piacere le appartiene, è Suo. Lo schiavo ottiene una liberazione momentanea perfettamente funzionale al mantenimento dello stato di asservimento. Una sottomissione asessuata sarebbe impossibile, peggio ancora una sottomissione sessuata non soddisfatta. Diventerebbe una prigione insopportabile. Invece proprio quei brevi momenti di piacere ottriati, combinati con un dominio pressante e costante, rendono la vita dello schiavo totalmente controllata dalla padrona. Si soffre e si accetta tutto, si programma la propria vita in funzione delle esigenze della mistress nella speranza di ottenere ancora quel privilegio di offrirle la propria virilità, rinunciando a farne altro uso che non sia il piacere della padrona nel vedere lo schiavo arrendersi, contorcersi, prigioniero della despota, implorando l’attimo subilime.
Lo schiavo davvero cosciente della sua condizione conosce benissimo questo meccanismo, tuttavia non può impedirsi l’oblio, quei pochi minuti, variabili a seconda del livello di interazione con la Dea. Un tempo brevissimo per lo schiavo convivente, magari mezza giornata per lo schiavo convocato alla bisogna, L’oblio, non una parola a caso, Nel lasso di tempo, più o meno lungo, in cui si è dimentichi della propria appartenenza si ha l’impressione che sia stata una sbandata ma che una volta liberi del desiderio si possa tornare alla libertà. Quanto fallace quella libertà se, al primo pensiero della Dea, si vorrebbe di nuovo tornare fra le sue grinfie. Quanto effimera se si corre a casa a guardare orgogliosi i segni della frusta prima di augurare il messaggio della buonanotte alla Padrona e sentire di nuovo, più forte e implacabile il desiderio di sottomettersi e adorare la Dea.